Eurostat ha confermato ieri che ad aprile l’inflazione nell’Eurozona è cresciuta su base tendenziale del 7%, con un lieve rialzo rispetto a marzo (+6,9%). La prossima riunione del Consiglio direttivo della Bce è fissata per il 15 giugno e c’è da sperare che per allora il dato relativo a maggio parli di un ritorno alla discesa dell’indice dei prezzi.
Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, ci invita a guardare con attenzione a una delle voci del paniere: quella dei beni alimentari (che comprende anche le bevande analcoliche). «Ad aprile, infatti, in Italia si è registrata una crescita tendenziale del 12,3%. E se guardiamo agli altri principali Paesi europei gli incrementi sono stati ancora più elevati: +12,9% in Spagna, +15% in Francia e +16,8% in Germania».
Perché è così importante guardare a questi dati?
Perché si tratta di incrementi percentuali in doppia cifra e ben superiori all’indice generale e che riguardano beni di cui non si può fare a meno. Quindi, fanno sentire maggiormente il loro peso sui redditi bassi. Inoltre, tenuto conto della particolare attenzione che c’è in Germania all’inflazione, c’è da ritenere che alla prossima riunione del Consiglio direttivo della Bce di metà giugno ci sarà un nuovo aumento dei tassi, verosimilmente dello 0,25%. Credo sia importante, poi, una considerazione più generale sull’andamento dell’economia.
Prego.
Se non di una stagflazione vera e propria, c’è il pericolo di una situazione di inflazione che resta elevata per un tempo prolungato e di un contemporaneo rallentamento dell’attività produttiva. In questo senso già qualche segnale non rassicurante arriva dalla produzione industriale, che nell’Eurozona a marzo è scesa del 4,1% rispetto a febbraio dell’1,4% su base annua. Non sembra esserci all’orizzonte un atterraggio morbido.
Sembra difficile, insomma, far scendere l’inflazione….
L’Istat segnala che da marzo ad aprile aumenta l’inflazione per i beni ad alta e media frequenza di acquisto e questo non è un buon segnale. Fa effettivamente immaginare che la discesa dell’indice sarà lunga. Lo si intuisce anche dall’inflazione acquisita, cioè quella che si avrebbe come media dell’anno indicato, ipotizzando che l’indice rimanga invariato rispetto ad aprile, che è pari al +5,3%. È come se non ci fosse alternativa alla cura che passa da un forte rallentamento dell’attività economica.
Ma esiste un’alternativa per far scendere l’inflazione?
Si può immaginare un qualche sollievo attraverso il tasso di cambio che potrebbe far scendere l’inflazione importata tramite, per esempio, le materie prime energetiche. Ma quest’ultime non sembrano più essere la componente del paniere che sta trainando maggiormente l’inflazione: come detto prima, infatti, oggi sono i beni alimentari a far segnare aumenti elevati.
Se effettivamente si arrivasse a un rallentamento dell’economia capace di far frenare la crescita dell’indice dei prezzi, una volta che l’economia dovesse ripartire, l’inflazione tornerebbe ad aumentare?
Probabilmente rimarrebbe stazionaria, ma è bene non confondere la variazione dell’inflazione con il livello dei prezzi. Quello che intendo dire è che dopo un anno e mezzo di inflazione compresa tra il 5% e il 10%, anche se poi non ci fossero nuovi incrementi resterebbe comunque incorporato nei prezzi l’aumento cumulato nei mesi precedenti. Non penso, infatti, che si possa ipotizzare un periodo di variazione negativa dell’inflazione che riporti i prezzi ai livelli dell’anno scorso. Si renderà necessaria a quel punto una qualche forma di compensazione sul lato fiscale per far recuperare potere d’acquisto alle famiglie.
L’Abi ha intanto reso noto che la stretta operata dalla Bce ha fatto sentire i suoi effetti sui prestiti bancari, visto che ad aprile si è azzerata la crescita di quelli diretti a famiglie e imprese, e che i tassi sui nuovi mutui hanno superato la soglia del 4%. Sono dati che ci devono preoccupare?
Sì, se le famiglie, soprattutto quelle giovani, non investono i loro risparmi per l’acquisto di un’abitazione, la situazione comincia a farsi diventa delicata. E se le imprese non ottengono e non chiedono prestiti questo può incidere anche sui loro investimenti con riflessi negativi per l’economia.
C’è modo di mitigare l’effetto recessivo del rialzo dei tassi della Bce?
Considerato il risicato margine fiscale dell’Italia, solo tramite uno sviluppo più robusto delle esportazioni si potrebbe in qualche modo attenuare l’impatto del rallentamento dell’attività economica interna.
(Lorenzo Torrisi)
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