Nello studio di un medico situato in alto palazzo nella città di Francoforte entra uno strano paziente, si siete e poi dice al dottore: “Nell’ultimo mese mi è capitato di avere la febbre”. Come ci aspettiamo che reagisca il dottore? Prima di prescrivere una medicina chiederà sicuramente: “Scusi, ma lei ha avuto la febbre all’inizio del mese ma poi le è passata e ora non ha più nulla oppure la febbre le è venuta nei giorni scorsi, ce l’ha tuttora e dobbiamo definire una terapia?”. È evidente che solo in questo secondo caso una o più medicine saranno effettivamente prescritte.



A questo punto possiamo svelare l’enigma: il palazzo è l’Eurotower di Francoforte, lo studio medico è la Bce, il paziente si chiama Economia dell’Euro Area, la malattia inflazione e infine la terapia si chiama politica monetaria restrittiva via alti tassi. L’unica specificità è che il paziente comunica solo utilizzando numeri definiti attraverso statistiche. Ed è da una di esse che sappiamo infatti che nell’ultimo anno esso ha avuto una febbre inflattiva che ha fatto aumentare i prezzi al consumo del 5,2% nei dodici mesi terminanti in agosto e del 4,3% nei dodici mesi terminanti in settembre. Ma questi sono dati di sintesi di dodici mesi e non ci dicono assolutamente nulla sul fatto che la febbre inflattiva sia perdurata lungo tutto l’anno, si sia concentrata nella prima parte e poi sia scomparsa oppure si sia concentrata nella seconda parte e sia tuttora in corso. Infatti, quei numeri, che sono il tasso tendenziale d’inflazione, rappresentano solo una misura di sintesi di quanto è avvenuto nei dodici mesi, ma nulla ci dicono di quando esattamente il fenomeno si sia verificato.



Per datare esattamente il fenomeno e capire se occorra tuttora una terapia non basta guardare al tasso tendenziale d’inflazione sui dodici mesi, bensì analizzare quanto effettivamente avvenuto mese dopo mese mettendo su grafico l’indice generale dei prezzi al consumo. Nel precedente contributo lo abbiamo fatto per l’indice dei prezzi al consumo dell’Italia, che riportiamo qui nel Grafico 1.

Grafico 1 – Indice NIC dei prezzi al consumo dell’Italia (I semestre 2021=100)

Esso ci rivela alcune cose interessanti che di seguito riportiamo:

– Nel primo semestre 2021 la febbre inflattiva non c’era ancora, infatti tra gennaio e luglio i prezzi al consumo erano saliti solo dell’1,4% totale, cifra che corrisponde a un 2,3% su base annua, un numero molto vicino al valore obiettivo Bce del 2%.



– Nel secondo semestre 2021 i prezzi tuttavia iniziano a crescere più velocemente e nella prima metà del 2022, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, si ha un’accelerazione ma la fase di crescita si interrompe dopo cinque trimestri con l’ultimo rilevante aumento congiunturale che avviene nel mese di ottobre; tra luglio 2021 e ottobre 2022 i prezzi aumentano in 15 mesi del 12,8%, corrispondente a un 10,1% su base annua.

– Da novembre 2022 a oggi sono trascorsi dodici mesi, ma negli undici per i quali conosciamo i dati i prezzi sono ritornati a una stabilità ancora più netta di quella che avevano nella prima metà del 2021, prima che ogni tendenza inflattiva si manifestasse; in questi undici mesi, infatti, i prezzi italiani al consumo sono saliti solo dell’1,9%, corrispondente a un 2,0% esatto su dodici mesi, che è, al decimale, proprio l’obiettivo perseguito dalla Bce.

Dunque in undici mesi i prezzi italiani sono cresciuti solo dell’1,9%, ma il tasso tendenziale ci dice invece che in dodici sono cresciuti di ben il 5,3%, un valore che è anche di un punto più elevato rispetto al tasso tendenziale dell’Euro area. Cosa vogliono dire questi numeri? Semplicemente che:

– L’ultimo mese in cui l’economia italiana è stata affetta da febbre inflattiva è risultato quello di ottobre dello scorso anno, nel quale i prezzi sono saliti del 3,4%.

– Dopo ottobre e sino a settembre scorso i prezzi al consumo hanno viaggiato a una velocità del 2%, che tradotta in termini medici equivale esattamente a una temperatura corporea di 36,5°.

– L’ingannevole 5,3% tendenziale, in cui a livello europeo sembra essere caduta tutta la Bce, non è altro che la somma del 3,4% di ottobre 2022, il mese della febbre, e dell’1,9% complessivo dei restanti undici mesi, quelli della salute.

Dopo aver datato con esattezza il periodo della malattia inflattiva rispetto a quello della salute non ci resta che confrontarlo con la tempistica della terapia, identificata dalle scelte Bce di rialzo dei tassi. Il confronto avviene nel Grafico 2, in cui ovviamente usiamo due scale differenti per l’indice dei prezzi al consumo, già visto nel Grafico 1, e per il tasso principale Bce, espresso nel suo valore, e dunque in percentuale.

Grafico 2 – Indice dei prezzi al consumo (scala sx) e tasso principale BCE (scala dx)

Cosa emerge dal Grafico 2? Semplicemente questo:

– Gran parte dell’inflazione al consumo si è manifestata nella seconda metà del 2021 e nella prima del 2022, ma in tutto questo tempo la Bce non ha somministrato alcuna medicina restrittiva di politica monetaria.

– Solo a luglio 2022 inizia il rialzo dei tassi Bce, ma è solo a novembre, dopo l’ottobre che è stato l’ultimo mese della malattia, che il tasso principale raggiunge il 2%.

– Da allora il tasso è passato dal 2% al 4,5% dello scorso settembre in sette rialzi consecutivi dei dieci totali che sono avvenuti. In sostanza da quando la malattia è finita la dose della medicina è stata incrementata del 150%…

Anche ammesso che la medicina degli alti tassi sia un rimedio efficace alla malattia dell’inflazione, ma in altro contributo di alcuni mesi fa abbiamo sostenuto di no, bisogna pur dire che:

– Il medico Bce è un medico molto tardivo che somministra dosi crescenti di medicina a distanza di tempo dalla scomparsa della malattia e dei suoi sintomi.

– È da escludersi che la malattia sia scomparsa a causa della medicina in quanto sono trascorsi solo tre mesi (tra luglio e ottobre 2022) dall’inizio della somministrazione, avvenuto a dosi blande, e la totale scomparsa dei sintomi.

– La medicina, privi di rimedi efficaci per la malattia che dichiara di curare, ha tuttavia importanti effetti collaterali le cui malattie si chiamano rispettivamente: (i) recessione economica; (ii) disoccupazione; (iii) crescita dell’onere dei debiti, privati e pubblici, tutte con effetti più consistenti sui Paesi geograficamente ed economicamente Euro periferici come è il caso dell’Italia.

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