Nell’intervento di ieri abbiamo commentato l’ottimo dato relativo all’inflazione italiana nel mese di ottobre dato che, in base alle stime preliminari dell’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale (NIC) ha registrato un aumento pari solo all’1,8 su base annua, ottenuto grazie a una diminuzione dello 0,1% rispetto a settembre a fronte invece con un rialzo record del 3,5% nell’ottobre 2022. Poiché in settembre il tasso tendenziale era stato pari al 5,3%, il nuovo valore dell’1,8% ne cancella in un colpo solo i due terzi.
In concomitanza con l’Istat anche tutti gli altri istituti di statistica dei Paesi che adottano l’euro hanno comunicato i loro dati sull’inflazione, permettendo in tal modo all’Eurostat di pubblicare il dato relativo all’intera euro area. Esso vede un tendenziale al 2,9% rispetto al 4,3% del mese precedente, con un miglioramento di 1,4 punti, meno consistente rispetto al calo di tre punti e mezzi che ha caratterizzato l’Italia. Pertanto il nostro Paese, che in settembre aveva un’inflazione maggiore di un punto rispetto all’eurozona, in ottobre si pone esattamente un punto al di sotto, risultando la sua dinamica dei prezzi migliore anche rispetto alle altre maggiori economie europee. Infatti:
– In Germania l’inflazione al consumo si è attestata al 3% rispetto al 4,3% del mese precedente, con una riduzione in linea con l’eurozona;
– Anche in Francia si è ridotta ma resta al 4,5% rispetto al 5,7% di settembre;
– Infine in Spagna, paese che lo scorso anno era riuscito a fermare in anticipo la crescita dell’inflazione ponendo limiti regolamentari ai prezzi dei beni energetici, si ha un lieve rialzo del tendenziale che si attesta al 3,5% rispetto al 3,3% di settembre.
In sostanza a fronte di un’attenuazione generalizzata del fenomeno inflattivo nell’intera euro area i singoli Paesi mostrano dinamiche differenziate e valori non uniformi dei tassi d’inflazione. Ma come sono andati i restanti sedici Paesi, diversi dai quattro grandi, i quali egualmente adottano l’euro e che assieme a essi si avvalgono, o sarebbe meglio dire subiscono, la stessa politica monetaria della Bce? A questa domanda risponde il Grafico 1.
Grafico 1 – Prezzi al consumo nei 20 paesi dell’Eurozona e tasso BCE (Valori %)
Il grafico precedente è di grande interesse in quanto descrive la coesistenza di fenomeni inflattivi molto differenziati:
– Due Paesi europei, Belgio e Olanda, sono addirittura in deflazione.
– Solo due altri Paesi, i più virtuosi, Italia e Lussemburgo, hanno tassi prossimi al livello del 2% ritenuto fisiologico dalla Bce, con altri due, Finlandia e Lettonia, nelle immediate vicinanze.
– Solo questi sei Paesi hanno valori inferiori alla media dell’eurozona, i restanti 14 si collocano al di sopra, tra essi anche le maggiori economie prima esaminate.
– Alcuni Paesi, infine, registrano tassi ancora elevati: sei di essi si collocano al di sopra del 4,5%, che è da settembre il nuovo livello del tasso principale della Bce, e tre, Slovenia, Croazia e Slovacchia, superano ancora il 6%.
Siamo in sostanza di fronte a venti inflazioni differenti sulle quali variabili nazionali specifiche, come la dipendenza o meno da determinate fonti energetiche o Paesi di approvvigionamento o anche semplicemente i tempi e l’intensità dei precedenti rialzi, sembrano pesare assai di più rispetto a fattori omogenei a livello europeo che politiche uniformi in tale ambito realizzate potrebbero essere in grado di condizionare. La domanda chiave, alla quale non sembra per il momento esservi risposta è pertanto la seguente: come si può pensare di rispondere a venti inflazioni differenti con una politica monetaria uniforme? E per di più con una politica monetaria restrittiva in maniera crescente, che si è accentuata proprio quando i prezzi smettevano di crescere, come abbiamo rimarcato in precedenti occasioni?
Non dimentichiamo poi il differente “peso” di questa politica restrittiva sui diversi Paesi: chi è più virtuoso in termini d’inflazione, come l’Italia, subisce un tasso Bce in termini reali consistente, misurato dalla distanza tra l’istogramma e la linea nel Grafico 1. Non parliamo poi dei due Paesi in deflazione. Se ai 4,5 punti del tasso Bce togliamo l’inflazione dell’Italia ne restano più di due e mezzo reali, se togliamo l’inflazione della Germania ne resta uno di meno, se togliamo quella della Francia il risultato è zero. In sintesi chi è più virtuoso in termini d’inflazione è anche il più mazziato dal tasso della Bce. E chi ha anche un alto debito pubblico in rapporto al Pil è mazziato due volte in quanto: (1) gli alti tassi d’interesse gravano sul costo del debito facendo lievitare la spesa per interessi, e dunque anche il debito pubblico che sta al numeratore del rapporto, mentre: (2) la minore inflazione rallenta la crescita del Pil nominale che sta al denominatore. Pertanto il rapporto debito/Pil ne soffre sia al di sopra che al di sotto della linea di frazione.
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