Abbiamo già parlato nella precedente puntata del medico di Francoforte non troppo sincronizzato sulle esigenze di cura del suo paziente il quale:prima sostiene a lungo che non vi è alcuna patologia; poi, quando la malattia è già in corso di guarigione, inizia finalmente a somministrare il farmaco; infine, dopo che la guarigione è completata, moltiplica per due volte e mezza le dosi da somministrare.
Naturalmente un medico di questo tipo rischierebbe seriamente di essere radiato dall’albo, tuttavia non si tratta di un medico vero, bensì del board della Bce, il quale deve curare la malattia inflattiva dell’Eurozona somministrando a tutti i venti Paesi, grandi, medi e piccoli, che adottano l’euro l’amara medicina della politica monetaria restrittiva composta da alti tassi d’interesse. Cosa farebbe invece al suo posto un medico valido? In primo luogo, terrebbe vicino al paziente un grafico in cui riportare le rilevazioni giornaliere della temperatura, che nel nostro caso corrispondono alle rilevazioni mensili dell’indice dei prezzi al consumo. Non si accontenterebbe invece di sapere che in un certo intervallo di tempo il paziente ha avuto febbre, ma vorrebbe sapere con precisione il tempo esatto in cui essa si è verificata e, soprattutto, se essa è ancora in corso. In tal modo eviterebbe di correre il rischio di accrescere le dosi del farmaco quando la malattia è già scomparsa.
Nel caso della malattia dell’inflazione l’inganno arriva dal misurare il fenomeno attraverso il tasso tendenziale di variazione dell’indice dei prezzi, il quale ci dice di quanto i prezzi sono cresciuti negli ultimi dodici mesi ma non ci rivela in quali mesi la crescita si sia eventualmente concentrata, né se essa sia ancora in corso in maniera anomala. Per evitare di cadere nella trappola dobbiamo ricordarci di tenere attaccato al letto del paziente il grafico della febbre, nel nostro caso l’indice vero e proprio dei prezzi al consumo.
Avendolo fatto nel precedente contributo per l’Italia abbiamo scoperto che è vero che negli ultimi dodici mesi noti, che vanno da ottobre 2022 a settembre 2023, i prezzi sono complessivamente saliti del 5,3%, tuttavia di questo 5,3% ben il 3,4%, quasi due terzi del totale, si è verificato nel solo mese di ottobre 2022, mentre nei restanti undici mesi l’incremento complessivo è stato solo dell’1,9%, meno di due decimi di punto al mese e pienamente in linea col valore obiettivo del 2% annuo della Bce. In sostanza ottobre 2022 è stato l’ultimo mese di febbre e poi da novembre essa è andata completamente via.
Confrontando questo andamento con quello della somministrazione della cura, dunque la tempistica dell’aumento del tasso principale da parte della Bce, abbiamo invece visto che essa ha iniziato a essere somministrata, peraltro in maniera blanda, solo a luglio 2022, appena tre mesi prima dell’ultima manifestazione della febbre. Ma tutti sappiamo che i tempi di manifestazione degli effetti di una politica monetaria restrittiva richiedono molti trimestri e non certo uno solo. Dunque, la febbre inflattiva non è finita a ottobre 2022 per effetto della cura ma per ragioni spontanee, riconducibili all’esaurirsi dell’onda prodotta dall’incremento delle materie prime energetiche del precedente semestre. In cambio, dopo che la velocità di crescita dei prezzi è tornata alla sua normalità del 2% annuo, il tasso principale della Bce è salito altre sette volte, passando dal 2% del novembre 2022 al 4,5% di settembre 2023. In sostanza dopo che la malattia è scomparsa il dosaggio della medicina è stato accresciuto di una volta e mezza.
Questa analisi, esposta già nei due precedenti interventi, potrebbe essere oggetto di una critica che occorre considerare: il confronto è infatti avvenuto tra le politiche monetarie della Bce, che valgono in maniera omogenea per tutti i venti paesi che adottano l’euro, e l’inflazione al consumo della sola Italia, economia che si colloca pure tra le maggiori ma che è solo un parte limitata dell’intera Eurozona. Invece la Bce nel decidere la politica monetaria guarda necessariamente all’insieme dei venti Paesi, non potendo ovviamente dare peso a casi singoli che si rivelino anomali rispetto all’insieme. Potrebbe dunque essere accaduto che l’inflazione da novembre 2022 sia scomparsa solo in Italia ma non nei restanti Paesi e che in conseguenza la politica della Bce possa rivelarsi corretta. L’ipotesi è poco probabile ma va verificata.
Dunque passiamo a considerare il grafico della febbre da inflazione dell’intera Eurozona, il Grafico 1 in cui riportiamo l’indice dei prezzi al consumo per l’insieme dei venti Paesi della moneta unica.
Grafico 1 – Indice armonizzato dei prezzi al consumo dell’Eurozona (I sem. 2021=100)
Anche in questo caso vediamo, come già documentato per l’Italia, che l’indice dei prezzi riduce notevolmente la sua velocità di crescita dopo ottobre 2022. In particolare:
– Da luglio 2021 a ottobre 2022, il periodo in cui emerge il fenomeno inflattivo (in maniera più blanda nella seconda metà 2021 e più intensa da febbraio 2022), i prezzi al consumo dell’Eurozona risultano essere cresciuti complessivamente del 12,5%, che corrisponde a un 9,9% su base annua.
– Invece negli undici mesi trascorsi tra ottobre 2022 e settembre 2023 i prezzi sono cresciuti complessivamente del 2,8%, corrispondente a un tasso annuo del 3,1%. Sono valori più alti di quelli dell’Italia (rispettivamente 1,9 e 2,0%), ma certo non tali da giustificare un tasso Bce al 4,5%.
Per completezza di analisi andiamo ora a vedere in maniera distinta l’inflazione al consumo delle principali economie diverse dall’Italia.
Grafico 2 – Indice armonizzato dei prezzi al consumo della Germania (I sem. 2021=100)
Nel caso della Germania il Grafico 2 ci mostra che:
– Da luglio 2021 a ottobre 2022, il periodo dell’inflazione più intensa, i prezzi al consumo sono cresciuti complessivamente del 12,6%, che corrisponde a un 9,9% annuo (identico all’Eurozona).
– Nei successivi undici mesi trascorsi tra ottobre 2022 e settembre 2023 i prezzi sono cresciuti in Germania complessivamente del 3,2%, corrispondente a un tasso annuo del 3,4%, valori più alti sia dell’Italia che dell’Eurozona.
Grafico 3 – Indice armonizzato dei prezzi al consumo della Francia (I sem. 2021=100)
Invece nel caso della Francia, illustrato dal Grafico 3:
– Da luglio 2021 a ottobre 2022 i prezzi al consumo sono cresciuti complessivamente solo dell’8,1%, dato che corrisponde al 6,4% annuo (entrambi pari a circa i due terzi rispetto all’Eurozona).
– Nei successivi undici mesi trascorsi tra ottobre 2022 e settembre 2023 i prezzi sono cresciuti complessivamente del 4,4%, corrispondente a un tasso annuo del 4,8%, valori più alti dell’Italia, dell’Eurozona e della Germania.
Quello che è probabilmente accaduto è l’attuazione in Francia di politiche ant-inflattive che hanno limitato l’inflazione nella fase più acuta, tuttavia spostando in avanti almeno una parte dell’aumento dei prezzi.
Grafico 4 – Indice armonizzato dei prezzi al consumo della Spagna (I sem. 2021=100)
Infine il caso della Spagna, illustrato dal Grafico 4, appare diverso da tutti gli altri in quanto il picco del fenomeno inflattivo risulta anticipato al mese di giugno 2022, seguito da otto mesi di totale stabilità dei prezzi, conseguita attraverso politiche microeconomiche e regolatorie. Infine una risalita, ma non consistente negli ultimi sei mesi. In dettaglio:
– Da luglio 2021 a giugno 2022 i prezzi al consumo sono cresciuti a un tasso annuo del 12,4% (valore simile l’Eurozona).
– Tra giugno 2022 e settembre 2023 i prezzi sono invece cresciuti a un tasso annuo del 2,1%, che è assieme a quello dell’Italia il valore più basso tra tutti i casi considerati.
Quali considerazioni possiamo trarre da questa analisi comparativa? Direi le seguenti:
– La politica monetaria è uniforme per tutta l’Eurozona ma la malattia inflattiva che vorrebbe curare è molto differenziata da Paese a Paese.
– Due dei maggiori Paesi, l’Italia e la Spagna, hanno un’inflazione al consumo che viaggia almeno da undici mesi al 2% annuo, che è il valore desiderato dalla Bce e che non giustifica alcuna politica monetaria restrittiva.
– A livello di intera Eurozona la velocità dei prezzi al consumo è al 3,1% su base annua, in Germania al 3,4% e in Francia al 4,8%.
– Il tasso Bce uniforme, attualmente al 4,5% nominale, si converte in conseguenza in un tasso reale di due punti e mezzo per Italia e Spagna, di un punto e mezzo per la media dell’Eurozona, di un solo punto per la Germania e diviene negativo, anche se per pochi decimali, nel caso della Francia.
In sostanza la politica monetaria restrittiva della Bce, complessivamente non giustificata, si rivela particolarmente penalizzante nei confronti dei Paesi che sono più virtuosi sul fronte dell’inflazione, dunque l’Italia e la Spagna, e assai meno penalizzante verso i paesi meno virtuosi che sono Germania e Francia.
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