A giugno l’inflazione negli Stati Uniti è scesa al 3% dal 4% di maggio, un dato, come ricorda Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss, «molto lontano dal picco registrato a giugno 2022, pari al 9,1%. Se guardiamo all’inflazione core, è passata al 4,8% dal 5,3%, ai minimi da ottobre del 2021. Nel complesso, l’evoluzione del quadro inflattivo americano punta in una direzione incoraggiante».
C’è, quindi, da chiedersi cosa deciderà il Fomc della Fed il 26 luglio…
L’esito scontato dai mercati è di un ulteriore aumento dei tassi di interesse pari a 25 punti base, che potrebbe anche essere l’ultimo o uno degli ultimi. Chi si attende una postura ancora più restrittiva evidenzia che l’economia americana si sta rivelando molto resiliente: nel secondo trimestre il Pil è cresciuto del 2,3% in ragione d’anno. Per quel che concerne il mercato del lavoro, poi, solo nel mese di maggio sono stati creati 339.000 nuovi posti di lavoro e continua a essere ampio il numero di posti vacanti, un numero significativamente eccedente quanti sono in cerca di occupazione. Peraltro, gli analisti si aspettano una recessione ormai da un anno, ma finora non si è materializzata, né si registra, al momento, una convergenza di dati che indichino che sia imminente.
Negli Stati Uniti, la “medicina” sembra aver funzionato – l’inflazione è scesa senza che vi sia stata una recessione -, mentre in Europa no, anche se somministrata più tardi.
Gli ultimi dati sull’inflazione nell’Eurozona parlano di una discesa a giugno stimata al 5,5% rispetto al 6,1% di maggio. Tuttavia, l’inflazione core continua a essere vischiosa: a giugno, infatti, si stima sia stata pari al 5,4%, in salita rispetto al 5,3% di maggio. Finché questo comportamento persisterà, difficilmente la Bce potrà abdicare a ulteriori aumenti dei tassi. Peraltro, disaggregando la stima sull’inflazione nell’Eurozona a giugno si può notare che in Germania è pari al 6,8%, significativamente sopra la media, mentre l’inflazione core è aumentata al 5,8% dal 5,4% di maggio.
È anche per questo che la Germania intende tagliare la spesa pubblica di circa 31 miliardi di euro nel 2024?
Nel Paese c’è una dinamica inflazionistica sostenuta e questo sta incoraggiando una politica fiscale restrittiva. A mio avviso, la Germania potrebbe utilizzare lo shock inflazionistico come elemento per introdurre una maggiore concorrenza all’interno del comparto dei servizi e, in generale, nella sua economia, evitando che la lotta contro l’inflazione alimenti l’austerità fiscale. Tornando al dato aggregato relativo all’Eurozona, in sostanza si registra una deflazione sui prezzi dell’energia, responsabile dell’andamento discendente dell’indice aggregato dei prezzi, ma vi sono aumenti sostenuti negli altri comparti del paniere, segno dell’esistenza di focolai inflazionistici non ancora domati. Finché questi persisteranno, nella dinamica, ma anche nella resilienza che stanno mostrando, sarà difficile per la Bce ammorbidire la sua postura. Quindi, è prevedibile che ci saranno ulteriori rialzi dei tassi e che permarrà un tono, una narrativa particolarmente hawkish.
Cosa non consente di ottenere in Europa lo stesso risultato visto negli Usa?
Non va, anzitutto, dimenticato che negli Stati Uniti la stretta monetaria è iniziata molto prima. Inoltre, Oltreoceano sono partiti in una situazione di svantaggio rispetto all’Eurozona per via di un’iniezione significativa di risorse fiscali nei primi mesi di mandato dell’Amministrazione Biden che aveva ulteriormente contribuito alla dinamica inflazionistica. Detto questo, l’economia americana è più flessibile e reagisce agli impulsi monetari con maggiore efficacia rispetto a quella dell’Eurozona. Probabilmente, ciò è dovuto anche a una maggior competitività dei settori economici e produttivi negli Usa.
Che cosa manca all’Europa, cosa dovrebbe fare per riuscire a raggiungere un quadro come quello che stiamo vedendo negli Usa?
Dal momento che c’è questa inflazione persistente, l’obiettivo avrebbe dovuto essere, ma lo è tuttora, quello di non lasciare sola la Bce nella lotta all’inflazione. Se c’è una spinta all’insù dei prezzi, occorre lavorare a un’espansione dell’offerta aggregata, in modo da contenere queste spinte inflattive.
In che modo?
Attraverso riforme strutturali e maggior investimenti. Si tratta di misure che non danno risultati nel breve periodo, ma questo vale anche per la politica monetaria, che generalmente ha bisogno di tempi non brevi per poter dispiegare appieno il suo effetto. Oltretutto, queste misure contribuiscono a determinare un contrasto all’inflazione che, espandendo l’offerta aggregata e creando nuovi posti di lavoro, mitiga l’effetto recessivo dell’inasprimento della politica monetaria. Su questo sarebbe necessaria una maggiore cooperazione a livello macroeconomico dei Paesi dell’Eurozona che attualmente ancora non c’è. Il dibattito resta concentrato sulle regole di politica fiscale, quando invece servirebbe una cooperazione più efficace a livello macroeconomico.
Nel frattempo, i rendimenti dei Bot a un anno sono arrivati ormai al 4% e nuovi aumenti dei tassi faranno crescere la spesa per gli interessi sul debito, limitando gli spazi fiscali a disposizione dell’Italia.
Il Tesoro cerca quanto più possibile di assicurare il rifinanziamento del debito seguendo le condizioni di mercato. In questo momento i tassi di interesse sono aumentati e si sono attestati su livelli significativi. Certamente l’attuale incremento dei tassi, che, ricordiamo, è il più sostenuto e veloce nella storia della Bce, crea una maggiore pressione per un efficientamento del bilancio pubblico. Occorre, quindi, mantenere la postura estremamente responsabile finora formulata dal Governo, proprio perché non solo dobbiamo fare i conti con Bruxelles, ma anche con i mercati che decidono del rifinanziamento della nostra enorme mole di debito. Sinora le condizioni di mercato sui titoli di stato italiani sono state più che ordinate, segno che a fronte dello shock monetario e dei tassi la postura improntata alla massima responsabilità fiscale da parte del Governo sta dando i suoi frutti.
(Lorenzo Torrisi)
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