Secondo i dati diffusi ieri da Eurostat, l’inflazione nell’Eurozona a marzo in termini tendenziali è scesa al +2,4% dal +2,6% di febbraio, battendo le attese degli analisti che si aspettavano rimanesse invariata ai livelli del mese precedente. In calo, dal +3,1% al +2,9%, anche l’inflazione core. Questi dati possono far sperare, come paventato la scorsa settimana dal Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta e dal membro italiano del Consiglio direttivo della Bce Piero Cipollone, in un imminente taglio dei tassi da parte dell’Eurotower? Secondo Domenico Lombardi, economista, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale,«l’inflazione di marzo consolida un quadro di progressiva stabilizzazione. Nella variazione tendenziale, essa si è attestata al 2,4%, in discesa rispetto a febbraio (2,6%) e a gennaio (2,8%). La componente core, che è depurata delle componenti più volatili come beni alimentari e prodotti energetici, è cresciuta del 2,9%, anch’essa in diminuzione rispetto ai mesi precedenti. La dinamica a livello di singolo Paese evidenzia, poi, altri aspetti di interesse».
Per esempio?
Nel caso della Germania, la più grande economia dell’Eurozona, l’inflazione è cresciuta sotto la media attestandosi su livelli tra i più bassi dei due anni precedenti. In Italia, a marzo l’inflazione è cresciuta sopra la media dell’Eurozona, ma nella variazione tendenziale si situa all’1,3%, ben al di sotto del target inflazionistico della Bce.
Martedì è stata diffusa la rilevazione effettuata dalla Bce sulle attese dei consumatori relative a febbraio: le aspettative mediane di inflazione per i prossimi 12 mesi sono diminuite al 3,1% dal 3,3% del mese precedente, al livello più basso dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Questo conterà qualcosa per l’Eurotower? O si continuerà a guardare ai rinnovi contrattuali?
Le aspettative di inflazione confermano la progressiva stabilizzazione che emerge dall’analisi dei dati degli ultimi mesi e, in tal senso, confermano le attese della Bce. Tuttavia, i dati più recenti confermano anche che la componente dei servizi – quella che risente maggiormente del costo del lavoro – si mantiene su livelli relativamente elevati riflettendo presumibilmente un recupero salariale tutt’ora in atto. Dallo scorso novembre, questa componente del paniere è inchiodata al 4% tendenziale e si conferma, anche per il mese di marzo, uno dei punti di attenzione della Bce.
Cosa pensa dell’allarme di Istat, secondo cui quasi un quarto delle imprese italiane potrebbe essere a rischio a seguito del rialzo dei tassi di interesse?
Il problema non è solo del livello straordinariamente elevato dei tassi di intervento, ma anche di quello al quale le imprese prendono a prestito dal sistema bancario. Tale livello è ovviamente correlato al primo, ma può presentare una forbice relativamente ampia soprattutto per un sistema produttivo incentrato su imprese piccole e medie, che non sono in grado di diversificare adeguatamente le fonti di finanziamento. Posto che siano riuscite a sopravvivere sino a oggi, i tassi di mercato dovrebbero scendere progressivamente seguendo, e se del caso anticipando, la discesa di quelli ufficiali.
Negli ultimi giorni si sta assistendo a un rialzo del prezzo del petrolio. C’è il rischio che vi sia una ripresa dell’inflazione in Europa, con quel che ne può conseguire in termini di scelte della Bce sui tassi?
La ripresa del prezzo del petrolio risente di uno scenario di escalation nel conflitto medio-orientale con il coinvolgimento dell’Iran. Si tratta di uno scenario su cui gli Stati Uniti stanno attivamente lavorando proprio nel tentativo di contrastarlo, evitando che il conflitto in corso tra Israele e Hamas si allarghi ad altri Paesi della regione, soprattutto quelli produttori di petrolio. Se non ci riuscissero, effettivamente si potrebbe materializzare un nuovo shock energetico, ma a oggi non sarei così pessimista.
Dopo l’ultimo dato Pce pensa che la Fed taglierà comunque i tassi a giugno nonostante la situazione economica resti positiva e non vi siano state nemmeno grosse tensioni sul fronte bancario a marzo nonostante i problemi di Nycb e la fine del programma straordinario della Fed stessa per mettere in sicurezza il sistema bancario?
A febbraio il Pce, che rappresenta l’indicatore preferito dalla Fed per monitorare la dinamica inflazionistica, è aumentato del 2,5% (2,8% la componente core). A gennaio, l’incremento era stato del 2,4% (2,9% la componente core). Disaggregando ulteriormente questi dati, si conferma la progressiva stabilizzazione del quadro inflattivo. Proprio per questo, le aspettative di mercato sono per l’avvio del ciclo di riduzione dei tassi a partire dal prossimo giugno.
Intanto il ministro Giorgetti ha detto in audizione alla Camera che è scontato che la Commissione europea raccomanderà al Consiglio di aprire una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia. Questo come potrà impattare sulla fiducia che i mercati stanno dimostrando verso i titoli di stato del nostro Paese? Come dovrà rispondere il Governo a Bruxelles?
Il ministro Giorgetti si riferiva a un fatto in qualche modo dovuto visto che l’Italia ha superato la soglia del disavanzo eccessivo parametrata al 3% del Pil. Peraltro, la procedura riguarderà presumibilmente una decina di Paesi – in sostanza, metà dell’intera Eurozona – e non è un fatto isolato alla sola Italia. Non ritengo che di per sé la notizia abbia alcun impatto di mercato dal momento che era largamente attesa. Quello che rileva, piuttosto, è che la postura di politica fiscale continui a essere orientata alla sostanziale prudenza per contenere il numeratore del rapporto debito/Pil e il Pnrr lavori dal lato della crescita, cioè del denominatore del medesimo rapporto. Si tratta di alimentare la fiducia degli investitori mostrando continui progressi su entrambi i fronti.
(Lorenzo Torrisi)
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