Dopo l’aumento dei tassi deciso dalla Bce la scorsa settimana, pari allo 0,25%, gli occhi degli investitori e degli analisti economici sono puntati sulla Fed, che domani dovrà decidere se procedere a un nuovo rialzo oppure optare per una nuova “pausa” dopo quella dello scorso giugno. Secondo Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, nonostante le apparenze, la situazione è molto più complicata oltreoceano che in Europa.



Professore, cominciamo dal rialzo dei tassi operato dalla Bce la scorsa settimana. Cosa ne pensa?

Penso sia stata una sorta di soluzione intermedia, tutto sommato di buon senso. Sembra, infatti, che l’inflazione non abbia terminato di scaricarsi nel tessuto sociale e, dunque, non era possibile lasciare i tassi invariati, ma nemmeno frenare bruscamente l’economia con un aumento dello 0,5%: per questo si è scelta una ragionevole via di mezzo.



Il Presidente di Confindustria Bonomi ha evidenziato che la politica monetaria della Bce limita la capacità di crescita e gli investimenti. C’è modo di evitare questo “effetto freno” per l’economia?

La prima cosa da fare è guardare al Pnrr. Se i tassi di interesse crescono, allora vanno accorciati i tempi burocratici per fare in modo che gli investimenti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza possano dispiegare i loro effetti. Migliorare l’efficienza decisionale delle burocrazie può attenuare o persino annullare l’effetto del rialzo dei tassi.



Cosa dobbiamo aspettarci invece per i prossimi mesi: la Bce aumenterà ancora i tassi?

Non è ancora possibile rispondere compiutamente a questa domanda, perché non si sa quale evoluzione effettivamente ci sarà sia per quanto riguarda l’inflazione che l’economia. Senza dimenticare la situazione della Germania, che è in seria difficoltà, non solo per quel che riguarda l’industria, ma anche sull’avanzamento delle opere pubbliche.

Nel suo Discorso sullo Stato dell’Unione, Ursula von der Leyen ha sottaciuto le difficoltà dell’economia europea, non ha espresso alcuna preoccupazione nonostante le previsioni della Commissione diffuse due giorni prima…

C’è da dire che la frenata dell’economia, salvo la Germania, ci lascia in territorio positivo. E l’occupazione continua a tenere, persino meglio del Pil nella maggioranza dei Paesi dell’Ue. La situazione complessiva non è quindi catastrofica, ma di galleggiamento. Certo è che l’industria tedesca è in un momento critico e anche sull’auto elettrica pare essere più indietro rispetto a Stellantis. A tal proposito credo che l’annuncio di von der Leyen riguardo un’indagine sui sussidi cinesi all’auto elettrica sia stata fatta con un occhio alle difficoltà della Germania.

A parte questa indagine non si vede molto a livello comunitario per l’industria.

È così, al momento manca una vera strategia per l’industria europea, anche perché fino a pochissimi anni fa era un tema trattato principalmente a livello nazionale, dunque stiamo scontando un ritardo tenuto conto poi che ormai le regole produttive da anni sono stabilite a livello europeo. Quello che può rimanere a livello nazionale è la definizione di strategie di lungo periodo per puntare maggiormente su alcuni settori o comparti.

Un altro tema su cui l’Europa è in ritardo è la riforma del Patto di stabilità. Si può arrivare a un’intesa entro fine anno?

Penso di sì. Mi sembra che in fondo anche l’Italia sia d’accordo con la proposta della Commissione, ma voglia cercare di ottenere qualcosa in cambio del suo consenso.

Giorgetti ha parlato esplicitamente della necessità che ci sia uno scomputo di alcuni investimenti da deficit e debito.

Sì, è una richiesta ragionevole. A mio avviso, si sta svolgendo una trattativa tra Roma e Bruxelles, giustamente non pubblica, che interessa diversi dossier, come i migranti e la ratifica del Mes. Mi sembra che, dal poco che traspare all’esterno, si stia andando nella direzione giusta.

Finora abbiamo parlato di Europa, ma domani è attesa la decisione sui tassi da parte della Fed. Secondo lei, la banca centrale americana procederà a un nuovo rialzo?

Non dobbiamo dimenticare che di fatto l’Amministrazione americana sta spendendo soldi che non ha utilizzando l’innalzamento del tetto al debito pubblico varato nei mesi scorsi. Sarà interessante anche vedere l’esito dello sciopero dei lavoratori dei tre colossi dell’auto negli Stati Uniti, un Paese dove continuano ad aumentare i divari sociali. Penso, quindi, che la Fed continuerà con una politica di piccoli aumenti, ma con la consapevolezza che c’è una situazione che è più difficile di quella europea.

Perché è più difficile?

Perché riguarda più questioni strutturali che vanno dalla politica all’economia fino al modo in cui è fatta la società. L’ascensore sociale si è rotto e questo è un problema serio per gli Stati Uniti. Credo che ottobre sarà un mese abbastanza significativo: capiremo meglio quali sono gli andamenti a livello mondiale, anche in Ucraina, e quindi si potrà capire cosa effettivamente è possibile fare sul piano economico. Non va dimenticato, poi, che l’economia americana può avere rimbalzi positivi o negativi molto più forti e rapidi rispetto a quella europea. Sarà anche interessante vedere cosa accadrà in Sud America: oltre alle elezioni in Argentina, ci sono Governi di sinistra che vorrebbe sostanzialmente dar vita a un accordo monetario e a programmi di investimento comuni che possono innescare cambiamenti importanti.

(Lorenzo Torrisi)

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