Caro direttore, secondo i dati dell’Abi pubblicati in questi giorni, a fine agosto i tassi di interesse per i crediti alle famiglie relativi agli acquisti immobiliari sono saliti dal 4,19 al 4,29%, ma sono valori di riferimento, non tengono conto del recente aumento dello 0,25% deciso dalla Bce e di tutte le altre spese che incidono sui finanziamenti.
Da ricordare che in un solo mese i prestiti sono scesi del 3,3% sottolineando una contrazione che su base annua vorrebbe dire una riduzione di un buon terzo dei finanziamenti erogati. Il denaro, insomma, costa troppo e non ci si può più permettere di comprare una casa o un bene durevole.
Ancor peggio i prestiti alle imprese, ridotti in un mese del 4%, segno che anche le aziende soffrono, ma che soprattutto non possono più permettersi di investire.
Interessante notare che l’Abi ammette che i tassi pagati dalle banche alla clientela sui depositi si attestano allo 0,8% medio – ovvero una miseria – senza significativi incrementi nonostante i dieci progressivi aumenti del tasso di riferimento decisi appunto dalla Bce.
La “forbice” della stretta creditizia non viene quindi immessa nel sistema scegliendo magari le finalità degli investimenti e premiando quelli più produttivi, ma resta alle banche che festeggiano con profitti da record semplicemente riversando i soldi raccolti dalla clientela nei rapporti interbancari ben remunerati o comprando titoli di stato, lucrando così una splendida differenza senza rischi.
Difficile dar torto al Governo se si permette di proporre di tassare in modo più pesante questi extraprofitti che potrebbero essere definiti “parassitari” e certamente poco produttivi per lo sviluppo interno. Chissà poi perché l’ipotesi non dovrebbe essere sposata invece a livello comunitario, a vantaggio di spese “mirate” – per esempio finanziamenti agevolati per investimenti ad alto tasso di occupazione – da parte di tutti i governi Ue.
È incomprensibile come la Bce possa insistere in una politica meramente di tassi per frenare l’inflazione (questa almeno la vulgata ufficiale, che pochi si permettono di contestare) quando – nello stesso giorno del report Abi – Confesercenti sottolinea come la spesa alimentare delle famiglie (primo indice del consumo) si sia ridotto nel primo semestre 2023 di 3,7 miliardi di euro. Se consideriamo che nel frattempo i prezzi sono aumentati, è evidente come le famiglie abbiano ridotto le spese primarie, insomma “tirano la cinghia” negli acquisti sia per qualità che quantità.
Proseguendo nel trend, a fine anno la crescita degli acquisti primari italiani sarebbe di solo lo 0,8% in più rispetto all’anno scorso con un aumento dei prezzi che viene dichiarato intorno al 5%, ma che tutti possono verificare essere in realtà molto più forte.
Un aumento dello 0,25% dei tassi di interessi da pagare sul debito italiano “cuba” circa 10 miliardi ovvero un terzo di tutta la manovra finanziaria prevista per quest’anno, “mangiata” nella sua redistribuzione a chi ne ha più bisogno solo con l’aumento dei tassi Bce decisi quest’anno.
Questi sono numeri, non interpretazioni e non si capisce perché la Commissione europea attui una politica di sostanziale silenzio nei confronti della Bce che – di fatto – impone una propria linea economica “assolutistica” ai Paesi dell’Euro in evidente contrasto con le speranze di crescita nel continente che sta crollando in depressione e con le imprese produttive in grande difficoltà.
I tassi possono essere una manovra per combattere l’inflazione, ma se “uccidono” l’economia raggiungono un risultato opposto, eppure pochi sottolineano questa incongruenza, soprattutto quando l’inflazione non è generata da eccessiva domanda a fronte di carenza di prodotti sul mercato, ma dall’aumento di alcuni beni – come quelli energetici – che non sono un “optional” ma indispensabili per soddisfare bisogni primari o il funzionamento delle imprese che non hanno possibilità di scelte alternative.
Ecco perché appare strano il silenzio dei Governi, la rassegnazione della politica rispetto all’economia reale, a meno che ci si sia resi conto che alla base della spirale inflazionistica ci siano state alcune scelte di campo che si stanno rilevando un boomerang a medio termine, come le decisioni riguardo alla guerra in Ucraina che ha fatto esplodere la crisi energetica.
Una volta di più questo non significa che abbia ragione Putin, ma semplicemente che perpetuare una guerra sta danneggiando pesantemente anche l’Europa e che quindi bisogna far fronte a questa emergenza tentando di risolvere il problema e non solo assistendo passivamente all’andamento della situazione sul campo, di fatto ormai incancrenita.
Troppi Paesi extra-Ue che non sono legati a queste problematiche nel frattempo crescono e conquistano mercati, spesso insensibili alle tematiche ambientali e con gravi danni per il pianeta, ben oltre molte decisioni Ue non sbagliate in sé, anzi, ma sembrano ora del tutto fuori vista la contingenza globale.
Una seria riflessione su questi semplici aspetti dovrebbe essere al centro del dibattito politico ed economico, mentre invece resta solo sullo sfondo.
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