Non è facile commentare il recente discorso del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in occasione del voto di fiducia alle Camere. Un discorso impressionistico, che evoca un’atmosfera più che definire contorni netti e dettagli. Questo non è un elemento per ciò stesso negativo; anzi, vi si può cogliere un elemento di saggezza, di chi ha imparato che “governare” deriva dal greco κυβερνάω, “reggere il timone”: come nell’arte della navigazione, il governo deve indirizzare la nave, sapendo però di muoversi su di un fluido, la società con la sua complessità, a sua volta in movimento. Così, come sanno tutti quelli che navigano, a volte, per andare in un luogo, si deve puntare la prua decisamente da un’altra parte.



Inutile, allora, analizzare i discorsi programmatici? No, certo, anche se occorre sapere cosa vi si può trovare e cosa no. Cominciamo, quindi, a notare cosa Conte non ha detto: non ha parlato di Tav, né di “grandi opere”, né di “mangiatoia”. L’assioma su cui Danilo Toninelli, precedente ministro ai Trasporti e alle infrastrutture, ha costruito la sua azione è stato: le “grandi opere” sono inutili e dannose e sono solo un modo inventato dai grandi gruppi finanziari e industriali per sottrarre risorse al popolo. Per questo ha incaricato un gruppo di esperti, di provata esperienza e collocazione, perché dimostrassero con le analisi costi-benefici questa verità: basta, quindi, Torino-Lione, tunnel del Brennero, alta velocità tra Brescia e Padova e così via.

Proprio la rigidità con cui è stato impostato e gestito il tema della Tav è stata una delle cause della rottura dell’alleanza con la Lega: molto saggio appare, quindi, sia aver considerata chiusa questa partita, sia aver impostato altre partite in modo più sfumato.

Il tema delle opere ferroviarie è, però, tutt’altro che chiuso: importanti decisioni devono essere assunte sulle tratte di collegamento con i tunnel in costruzione, sia del Frejus sia del Brennero, e decisioni altrettanto importanti e complesse devono essere prese per i collegamenti veloci con le grandi città del Sud.

Per affrontare queste decisioni in modo ponderato occorre ora ridare equilibrio alla Struttura tecnica di missione del Mit, riequilibrandone il gruppo di lavoro, oggi di fatto appaltato a Ponti e alla sua società, cominciando con il rinnovare l’incarico al professor Coppola: sarebbe un primo, doveroso, atto di riparazione a un gesto di pura arroganza del potere.

Il secondo tema, già scaldato dalle polemiche, è la questione Autostrade: inutile ricordare la tragedia del Ponte Morandi, ma anche l’improvvisato annuncio del ministro Toninelli della “revoca” della concessione. Abbiamo avuto modo più volte di spiegare la complessità della questione e quindi della necessità di assumere decisioni dopo un’analisi la più attenta possibile. Di questo sembra essere perfettamente cosciente l’avvocato Conte, che così si è espresso: “Quanto al tema di concessioni autostradali avviato a seguito del crollo del ponte Morandi, porteremo a completamento il procedimento senza nessuno sconto per gli interessi privati, avendo quale obiettivo esclusivo la tutela dell’interesse pubblico e la memoria delle 43 vittime, una tragedia che rimarrà una pagina indelebile della nostra storia patria”.

Giusto non fare sconti a nessuno, oltretutto dopo 43 vittime, ma quale sia il “procedimento” da portare a termine ancora non si sa: i lettori del Sussidiario, infatti, sanno che, al momento, il Mit non ha intrapreso alcuna azione dopo la richiesta di chiarimenti, puntualmente ricevuti. Questa frase, dunque, deve essere letta con quella che la precede: “Renderemo più efficiente e razionale il sistema delle concessioni, operando una progressiva e inesorabile revisione di tutto il sistema”. Nei tempi necessariamente lunghi della magistratura, soprattutto quando si conosceranno i contenuti del probabile rinvio a giudizio, ci sarà modo di sedersi attorno a un tavolo per una “revisione” della concessione, così come suggerito anche dal gruppo di esperti giuridici attivato dal ministro Toninelli.

Al di là di Autostrade, è importante rilanciare l’istituto della concessione: uno strumento fondamentale che può dare un grande contributo alla ripresa degli investimenti. Occorre, però, che il governo si doti delle capacità tecniche, giuridiche, economiche e ingegneristiche necessarie per gestire questi complessi strumenti, capacità che nel passato hanno mostrato evidenti limiti. La giusta cautela (“progressiva revisione”), saggiamente consapevole della complessità del compito, non dovrebbe, però, impedire di intervenire fin da subito, rafforzando le strutture di controllo delle concessioni in atto, non solo autostradali.

Veniamo, infine, al tema più generale delle infrastrutture: “La rivoluzione dell’innovazione non può realizzarsi senza un’adeguata rete di infrastrutture tradizionali dei trasporti, delle reti dei servizi pubblici essenziali (…). È necessario per questo ravvivare la dinamica degli investimenti, (…). Le infrastrutture, in questa prospettiva, sono essenziali per avviare una nuova strategia di crescita fondata sulla sostenibilità. Abbiamo bisogno di un sistema moderno, connesso, integrato, più sicuro, che tenga conto degli impatti sociali e ambientali delle opere”.

Parole che, pur nella genericità, chiudono la polemica con le categorie produttive innescata dai fautori della decrescita felice; tradurre in fatti questi orientamenti non sarà, però, affatto facile.

Tra tanti cambiamenti da introdurre vogliamo segnalarne due.

Il primo: riprendendo le parole del ministro Tria al Meeting di Rimini, occorre ridefinire i confini tra magistratura amministrativa, civile e penale. Inutile nasconderci che in Italia chi ha responsabilità di una struttura grande e complessa, pubblica o privata, corre un rischio molto elevato di ricevere una condanna penale e questo è un enorme freno a intraprendere operazioni complesse e rischiose come la costruzione e la gestione di grandi infrastrutture.

Il secondo: non riusciamo a spendere i fondi che l’Unione Europea ci dà per le infrastrutture nel Mezzogiorno; il motivo è, innanzitutto, una cattiva programmazione, che non ha avuto la forza di far uscire il programma operativo da alcuni stereotipi cari ai funzionari di Bruxelles: e siamo già in ritardo per definire la nuova programmazione! Cerchiamo di non perdere un’altra volta il treno.

Complessivamente, l’impressione è di essere di fronte a un passaggio. Potremmo descriverlo con due personaggi della letteratura, entrambi spagnoli; un passaggio da Don Quijote de la Mancha ad Antonio Ferrer, il manzoniano governatore spagnolo di Milano: “Adelante Pedro, si puedes […]. Pedro, adelante cum juicio”.