CHIUDE LA CLINICA TAVISTOCK PER BIMBI TRANS IN UK; ECCO PERCHÈ

Entro primavera 2023 dovrà chiudere forzatamente la clinica Tavistock, l’unica pubblica in Regno Unito per curare/trattare la disforia di genere nei minorenni (con farmaci anti-pubertà): la decisione è stata maturata dal Governo Tory e segue il rapporto molto critico del gennaio 2021 contro la Tavistock, denunciata per forte “inadeguatezza” dei servizi offerti. In sostanza, diverse criticità furono rilevate da una commissione indipendente del Governo in merito al consenso informato dei pazienti ammessi alla transizione di genere: il “Gender Identity Development Service” (Gids) è stato chiuso perché accusato dalla commissione di Salute pubblica di aver dispensato «troppo superficialmente» i farmaci bloccanti della pubertà.



A livello pubblico si tratta della prima vera messa in discussione del processo anti disforia di genere: i tanti bimbi e ragazzi trans, secondo prima le indagini indipendenti e poi della Commissione specifica, sarebbero stati “imbeccati” più volte per convincerli che la transizione fosse l’unica vera soluzione ai disturbi/disagi nel riconoscersi nel proprio sesso originario. Per decisione del Governo inglese, il servizio sanitario nazionale trasferirà d’ora in poi i pazienti della Tavistock in centri regionali che adotteranno un approccio «più olistico nel trattamento» ed inoltre «esamineranno gli eventuali altri problemi di salute mentale o fisica che potrebbero affliggere i pazienti».



IL RAPPORTO CONTRO LA CLINICA TAVISTOCK: “BAMBINI IMBECCATI”

Come spiegano i media inglesi, citati da “Corriere della Sera” e “Avvenire”, la decisione di chiusura della clinica Tavistock arriva dopo che diversi medici interni del centro denunciavano il sentirsi «sotto pressione» per assecondare il cambio di genere dei minori senza prima passare dal normale – e molto approfondito – processo di valutazione clinica dei giovanissimi pazienti. Nel 2021-22 ci sono state oltre 5.000 richieste di assistenza al Gids rispetto alle sole 250 di 10 anni prima: lo staff negli ultimi tempi viene accusato di aver adottato un atteggiamento molto superficiale per incoraggiare in maniera indiscriminata verso la prospettiva di “diventare” trans anche davanti a casi di incertezza rispetto alla propria identità sessuale. «Tra i casi più problematici emersi, anche quelli relativi a minori con disturbi dello spettro autistico avviati alla riattribuzione di genere», sottolinea l’Avvenire riportando la notizia. Tutto nacque però con la storia di Keira Bell, protagonista dell’operazione per il cambio di genere a 16 anni ma più tardi pentita per quanto avvenuto: ha chiesto giustizia per essere stata indotta dalla clinica Tavistock a diventare maschio a 16 anni senza che le fosse stato spiegato in maniera adeguato cosa avrebbe comportato un simile atto irrevocabile.



La sentenza di primo grado aveva dato ragione a Keira, riconoscendo che bisogna porre «un freno alla pratica della riattribuzione di genere dei minori», ma poi il verdetto si era stato ribaltato in appello dando invece ragione alla clinica. «Siamo in grado di iniziare a costruire un servizio più solido – spiega l’Nhs alla stampa inglese – espandendo l’offerta e migliorando l’attenzione alla qualità in termini di efficacia clinica, sicurezza ed esperienza del paziente». Il dottor David Bell nel 2018 già però aveva denunciato alla stampa la clinica Tavistock per i metodi considerati «molti discutibili»: al Guardian ha poi rivelato diverse confessioni fatte a lui dallo staff della clinica, «Fra le loro preoccupazioni c’era il fatto che i bambini che frequentavano il Gids spesso sembravano imbeccati nei loro racconti e qualche volta non condividevano il senso d’urgenza dei loro genitori; che lo staff parlava di “casi conclamati” in riferimento a bambini a cui erano prescritti bloccanti della pubertà (secondo Bell nessun caso di disforia di genere può essere definito “conclamato”); che ad alcuni veniva raccomandato il trattamento ormonale dopo appena due visite e in seguito venivano visti solo raramente; alcuni ritenevano che il Gids impiegasse psicologi troppo poco esperti (e molto economici); che ai clinici che evocavano l’omofobia presso l’unità veniva risposto che avevano “problemi personali”».