E’ un Evgenij Onegin tormentato e magnificamente umano, quello che il Teatro dell’Opera di Roma ha ospitato dal 18 al 29 febbraio 2020. Su musiche dell’intramontabile Tchaikovskij, eseguite dall’Orchestra del Teatro dell’Opera diretta dall’illustre maestro statunitense James Conlon, la versione lirica dell’insigne poema di Pushkin ha fatto breccia nella Capitale tornando a coinvolgere il pubblico dopo ben diciannove anni dall’ultima rappresentazione che vide nei panni di Tatjana l’affermata Mirella Freni, scomparsa pochi giorni fa, alla quale è stata meritatamente dedicata la prima assoluta dell’opera.
Con regia dello stimato e apprezzato Robert Carsen, il cui ormai celebre allestimento andò in scena per la prima volta al Metropolitan Opera di New York nel 1957, la vicenda del giovane dandy disilluso e apatico risuona fedele, seppur innovativa, a quanto l’autore del denominato “romanzo in versi” volle rappresentare e delineare in un’opera letteraria che per importanza riecheggia- ancora oggi- tra i passi recitati a memoria da intere generazioni di studenti russi.
Al cuore delle intricate vicissitudini dell’opera e del romanzo vi è la difficoltosa drammaticità di un amore che sembra non presentarsi mai al momento giusto e, tantomeno, opportuno. Il disincantato protagonista Onegin, dopo aver respinto la giovane innamorata e introspettiva Tatjana, per dispetto nei confronti dell’amico e poeta Lenskij, senza alcuna esitazione comincia a corteggiare Ol’ga, sorella di Tatjana e oggetto d’amore di Lenskij. Tra i due amici diverrà, dunque, sempre più imminente una lite furiosa la cui conclusione vedrà la morte, a seguito di un duello, dell’umiliato e sconfitto Lenskij.
Trascorrono così otto lunghi anni, e Onegin, ritrovatosi ad una importante festa avente luogo nel sontuoso palazzo del valoroso principe e guerriero Gremin, si imbatte in Tatjana, ormai moglie di Gremin, e se ne invaghisce. Tenta allora di esternare i suoi infuocati e ardenti sentimenti alla donna, ma quest’ultima, sebbene ancora innamorata, decide risolutamente di allontanare Onegin e di rimanere eternamente fedele al marito, l’unico uomo a cui ha promesso il suo amore.
L’essenzialità audace e l’elegante minimalismo delle scene a cura di Michael Levine, assieme alle decisamente efficaci luci di Jean Kalman hanno permesso al pubblico di poter meglio identificare le anime dei protagonisti dell’opera e di poter, quindi, più attentamente assaporare la realtà interiore degli stessi, spesso gremita di affanni, angosce, dissidi o desideri, sogni e sentimenti.
Onegin, interpretato degnamente dal baritono austriaco Marcus Warba, pare emergere in maniera tradizionale e altresì moderna: l’evoluzione del protagonista vede il passaggio lento, ma deciso, da un Evgenij altezzoso, superbo e insensibile- specialmente nel primo e nel secondo atto – ad un uomo ritrovatosi improvvisamente soggiogato da un amore viscerale e travolgente per una donna rifiutata da lui stesso in precedenza. Donna, questa, interpretata dalla meravigliosa Maria Bayankina la quale, nelle vesti di Tatjana, ha gloriosamente debuttato al Teatro dell’Opera, sfoggiando indiscutibili capacità interpretative, canore e sceniche.
Il complesso ruolo ricoperto da Maria Bayankina, scuola Mariinskij, ha inoltre concesso allo spettatore di partecipare alla graduale trasformazione della stessa Tatjana – da Pushkin descritta come “russa nell’anima”- oltre che di entrare in empatia con colei che, in fin dei conti, si rivela essere la vera protagonista dell’opera. Da giovane ragazza di campagna, sognatrice e malinconica, assorta costantemente nella lettura dei propri libri – e per questo oggetto di continui e lievi beffe da parte della più frivola e spensierata sorella Ol’ga, interpretata energicamente dal mezzo soprano russo dall’imponente estensione Yulia Matochkina – Tatjana si ritrova profondamente scossa e fortemente turbata dall’emergere improvviso del suo incondizionato amore per l’affascinante e misterioso Onegin, amico del pretendente di Ol’ga, Lenskij. Quest’ultimo, incarnato preziosamente dall’ottimo Saimur Pirgu, tenore dalla vocalità regale e dai colori decisi, ma all’occorrenza delicati, rappresenta la componente più genuina e più pura di una giovinezza costituita da eroici sogni, alti ideali, innumerevoli speranze e desideri di amori forti e infiniti simili a quelli dei libri.
L’onore e l’orgoglio di Lenskij, però, dovranno fare presto i conti con la noia e il capriccio di Onegin fino a giungere, poi, al celebre duello, rappresentato in maniera eccellente da un gioco scenografico di prospettive che vede – alle spalle di Onegin – la presenza del pubblico, quasi a volerlo rendere contemporaneamente sia complice della delittuosa azione, sia spettatore empatico e compassionevole capace di comprendere l’evidente ingiustizia in atto.
Una interpretazione decisamente lodevole è da attribuire infine al principe Gremin, il marito di Tatjana, interpretato da John Relyea, e agli artisti del progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, tra cui ha spiccato Irina Dragoti, nel ruolo della vedova Larina. Il coro del Teatro, diretto dal Maestro Roberto Gabbiani, ha intriso con precisione e abilità evocative le già ricche ed emozionanti musiche di Tchaikovskij.
Qualche sottile tronco di betulla, una notevole quantità di foglie autunnali ricoprenti il palco e la studiata collocazione circolare di numerose sedie antiche sono poi bastate a rendere ben più che credibili e palpabili gli ambienti e le atmosfere che il Dante dell’est ha saggiamente descritto nel suo capolavoro a cui il libretto di Konstantin Šilovskij, e la bacchetta di James Conlon, hanno saputo rendere giustizia.