Il Natale, l’occasione di contemplare meno frettolosamente l’avvenimento di Dio che “abita in mezzo a noi”, rinnova la gioia e la sorpresa di poter vivere con un senso, una meta, una speranza irriducibile. La stessa preghiera del Te Deum oggi risuonerà di lode e gratitudine proprio nel riconoscimento dell’imprevedibile e immeritata liberazione da ogni male, da ogni solitudine e oscurità, dal limite e dalla morte che solo in apparenza imprigionano e minacciano l’esistenza.
Il primo Te Deum sgorga di fronte all’evento dell’Incarnazione di un Dio che non sdegnò di farsi carne in un utero, di assumere la condizione umana con i suoi travagli, il dolore e la morte. Ed è in forza di questo evento che il nostro vivere nel tempo assume un dinamismo nuovo: il nostro ripetere ogni anno le parole di un canto già noto, quello del Te Deum, potrà suscitare sorprendentemente nuova meraviglia e moltiplicare i motivi della gratitudine. Fra questi la significativa presenza di testimoni che ci raccontano dal vivo come anche nelle circostanze più travagliate, sovrastate dall’oppressione e dalla violenza, la fede vince l’opacità di pensieri cupi, vince la tentazione dello scoraggiamento recuperando un’interezza del vivere. Ne sono un esempio il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, che durante la messa di Natale ha confidato di provare una “spiacevole sensazione di inutilità delle parole, anche quelle della fede, di fronte alla durezza della realtà, alla evidenza di una sofferenza che pare non voler finire”. Ma immergendosi poi nel contesto descritto nel vangelo è stato indotto a imitare l’umile atteggiamento dei pastori, a immedesimarsi in Maria e Giuseppe, che nella Terra Santa del loro tempo non meno attanagliata da perversi interessi di potere, vanno a Betlemme, “disposti al Natale proprio lì”. “Maria e Giuseppe, mentre sembrano obbedire passivamente a una storia più grande di loro, in realtà l’hanno attraversata e dominata con il passo di chi guarda a Dio e al Suo progetto, e vi fanno entrare gloria e pace”. Ecco, sui passi di quanti, attraversando gli orrori di un inferno restano ancorati a un Fatto che non li delude, siamo toccati e coinvolti in una vicenda che supera le nostre elucubrazioni venate di scetticismo, sempre discoste dalla realtà, e risvegliati nel desiderio di una verità che rende nuovamente possibile sperare e ringraziare col Te Deum.
Una realtà testimoniata in tante storie diverse segnate da eventi provvidenziali, come una guarigione improbabile della malattia di un amico o la riconciliazione fra persone lacerate da conflittualità ritenute insanabili o ancora il recupero di un giovane uscito dal carcere a fine pena qualche anno fa con il fragile proposito di reinserimento sociale. Quest’ultimo caso, in particolare, sembra evocare un’aspirazione troppe volte contraddetta, segnata da un epilogo scontato di devianza e emarginazione sociale senza ritorno. Proprio per questa storia vera, a lungo tormentata, e solo ultimamente strappata dall’abbandono e dallo stordimento dell’alcol, il Te Deum sarà particolarmente fervido. A riaccendere in lui il sogno di un cambiamento è stato il ricordo di un incontro avvenuto in carcere qualche anno prima: un amico gli aveva parlato di Cristo colpendolo, più che con le parole, con la luminosità gioiosa del suo viso, per l’amicizia con cui lo trattava. Il ricordo, mai spento, di quell’esperienza in cui si era sentito amato, ha acceso un’intuizione preziosa, dandogli la forza di ricominciare a credere in sé stesso, fino a fargli finalmente trovare un lavoro. “Sono sicuro che è stato un miracolo”: questa è la sua certezza.
E del resto, facendo mentalmente scorrere i fatti di un intero anno, la percezione del miracolo affiora: potremo ravvisare un cambiamento nella concezione di noi stessi e degli altri, del nostro agire, riconoscendo la mano di Dio nell’accadimento di un gesto, un sorriso, un ricordo, una musica, una nascita… quando il divino nascosto si rivela ai nostri occhi.
Così il Te Deum, che ricapitola tutta la storia umana secondo il respiro dell’Infinito, ci ricorda il senso delle nostre ore trascorse o future, prospettando una inimmaginabile e inesauribile certezza.
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