Opera seconda di Ginevra Elkann, regista e produttrice italo-francese, Te lo avevo detto è un film dalle tinte afose, presentato in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public dopo l’anteprima mondiale al Toronto Film Festival.
Ambientato in un fine settimana di gennaio, in una Roma rovente avvolta nelle spire di un caldo anomalo, la sensazione che si vive dal primo all’ultimo minuto è proprio quella di un calore soffocante, una condizione da cui i protagonisti cercano ognuno a proprio modo di affrancarsi.
Il caldo è uno sfondo narrativo non casuale, il tema del surriscaldamento del pianeta è di spaventosa attualità, ma in questo film è anche e soprattutto una modalità per uscire da un’altra condizione, spesso altrettanto opprimente, di un individualismo dilagante. Eh sì perché i protagonisti di Te lo avevo detto, nelle sale dal primo febbraio, sono così abituati alle loro vite difettose che stanno in piedi tra piccole e grandi ossessioni (il sesso, il cibo, le droghe) che sembrano non accorgersi di quello che gli accade intorno.
Un intreccio di storie con protagoniste prevalentemente femminili di grande bravura.
Gianna, Valeria Bruni Tedeschi che domina la scena con il suo solito incedere tra l’angosciato e il blasé, è una fanatica religiosa con una figlia bulimica e ce l’ha a morte con una decadente diva del porno, una bravissima Valeria Golino nel ruolo di Pupa, ossessionata dall’inesorabile incalzare del tempo. Pupa è colpevole di aver sottratto l’osso (di de andreaiana memoria) a tutte, ma soprattutto a lei e questa narrazione incalzante vive al centro di tutto il film.
C’è Caterina (una sincera Alba Rohrwacher che qui vediamo con poco slancio) con un trascorso da alcolista che si affida a un prete italo-americano (Danny Huston) per superare la sua dipendenza, mentre lui prova a sconfiggere la propria.
Ci sono quadri familiari complessi in questo film, con personaggi pieni di grande attaccamento al loro piccolo mondo borghese, grotteschi a volte come solo alcuni di loro sanno essere, ma mai banali e soprattutto veri e consapevoli della loro disperata affezione a una vita inesorabilmente caduca.
Forse in alcuni momenti del film un po’ di nebbia stilistica copre lo sviluppo narrativo che tende a non decollare e ci fa perdere la pienezza di alcune storie che, se raccontate con meno ansia, avrebbero potuto godere di un approfondimento psicologico ancora più efficace.
Come se il caldo eccessivo a un certo punto avesse abbassato la capacità di concentrazione degli autori e li avessi sfiniti, rimane comunque un film con delle incursioni interessanti con un cast e una fotografia, di Vladan Radovic, per cui vale la pena accomodarsi in sala.
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