Pericle, l’inventore della democrazia, era accusato tenere Atene nel pugno di un regime “teatrocratico”: i drammi di Eschilo, Sofocle, Euripide e le commedie di Aristofane – concepiti e finanziati dalla “polis” e dal suo super-sindaco – risultavano strumenti di potere talora più importanti dei decreti degli “arconti”, gli assessori che governavano la città-stato. Certamente lo sviluppo di una cultura di massa come quella originata nel teatro di Dioniso, sull’Acropoli, ha generato un vantaggio strategico per la leadership ateniese di 2.500 anni fa, nella gestione del consenso interno non meno che nella competizione con le civiltà rivali. E data da allora la complessità di un peculiare rapporto fra potere politico – ed economico – e arte.
Oggi il teatro come forma di cultura comunicabile appare meno importante di un tempo nella gerarchia dei mass-media: ma sarebbe un errore ignorarne il peso, anche nell’epoca dei social media, in apparenza del tutto antagonista. Soprattutto: i teatri come luoghi fisici di arte strutturata – “istituzionale” – mantengono un ruolo visibile, una storicità socioculturale e una crucialità politica laddove – in Europa, certamente in Italia – i “padroni” dei teatri sono ancora di frequente lo Stato e gli altri enti pubblici. Per questo non sorprende che attorno ai teatri della penisola sia divampata una “culture war” della stessa intensità di quelle ricorrenti attorno alla tv pubblica, ma con pretese apparentemente non ridotte al puro “diritto di spoil system” da parte di una maggioranza di governo.
La Fondazione Teatro di Roma – dove Luca De Fusco è stato designato nuovo direttore generale dal governatore del Lazio Francesco Rocca (FdI) suscitando le ire del sindaco “dem” Roberto Gualtieri – non è il primo caso di scontro politico recente per la gestione di un grande teatro. A metà del 2023 è già andato in scena uno show simile a Verona: qui la sovrintendente Cecilia Gasdia è stata riconfermata dell’Ente Arena nonostante l’opposizione del nuovo sindaco di centrosinistra Damiano Tommasi, presidente di diritto.
Gasdia era stata nominata una prima volta a inizio 2018, sotto gli auspici del neo-sindaco Gabriele Sboarina (indipendente di centrodestra, successivamente entrato in FdI). Al voto comunale del 2017 la ex soprano era stata candidata per FdI, ma non era stata eletta. All’epoca della sua designazione – a Camere praticamente sciolte – il ministro per la Cultura era il “dem” Dario Franceschini, che aveva appena restituito l’Arena alla Fondazione dopo il commissariamento di Carlo Fuortes. Durante l’emergenza-Covid Gasdia è riuscita a tenere a galla l’anfiteatro scaligero: il più importante “motore” turistico di quella che è ormai una delle mete culturali top in Italia. È in questo periodo che si è consolidata anche la vocazione dell’Arena come contenitore di eventi non legati alla lirica, anche grazie a una partnership più forte con la Rai.
È su questo sfondo che Tommasi si afferma – un po’ a sorpresa – al voto 2022, incuneandosi in una spaccatura del centrodestra. Di questa ha fatto le spese Sboarina ma non Gasdia. La sovrintendente è riuscita a resistere con successo grazie a una maggioranza composita. È stato fondamentale l’appoggio del ministro della Cultura in carica, Gennaro Sangiuliano; ma anche quelli giunti dal presidente della Camera di commercio e dalle Assicurazioni Generali (fresche eredi del ruolo secolare svolto in città da Cattolica Assicurazioni).
Dunque: da un lato un establishment storicamente moderato e dall’altro un vasto “partito degli affari”, trasversale fra operatori turistici grandi e piccoli e poteri forti cittadini. Il neo-sindaco, al suo debutto, non è risuscito a far prevalere l’azzardo di rottura insito nella candidatura di un emergente manager teatrale australiano. Nel frattempo, tuttavia, si è andato profilando un secondo tempo all’insegna del compromesso sugli organigrammi operativi: per non far perdere all’Arena i fondi Pnrr e quelli per le Olimpiadi invernali 2026. Senza rinunciare alla cooperazione con la Rai “meloniana”.
Ci sarà un secondo e magari un terzo tempo per il Teatro di Roma? Certamente la sceneggiatura appare diversa da quella di Verona. Forse non nell’esito immediato del blitz, favorevole a FdI, incarnato ancora dal ministro Sangiuliano, e non al sindaco Pd, ex ministro dell’Economia. Quello che sembra diverso è il contesto economico: attorno al Colosseo e al Campidoglio le “truppe” in campo non sono formate da commercianti e proprietari di appartamenti Airbnb, Arena-dipendenti e politicamente vicini al centrodestra. A Roma prevale largamente il foltissimo ed eternamente precario popolo dello spettacolo nel quale la tessera prevalente è quella del Pd: sia quella ereditata dagli anni del sindaco Walter Veltroni (a sua volta ministro della Cultura), sia quella più recente del “regno” del ministro Franceschini. Oppure quella – antica ma mai obsoleta – del Pci: egemone nel dopoguerra su università, case editrici e industria culturale assortita. È per questo che il caso De Fusco ha sfondato le prime pagine dei giornali nazionali, mentre il caso Gasdia non l’ha fatto.
L’attesa è ora per il caso principe, già in cottura: quello della Scala di Milano. Qui il sindaco (rosso-verde) Beppe Sala l’ha già buttata in politica, con l’incidente di Sant’Ambrogio: quando l’assenza (forse ostentata) da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva regalato il palco reale al presidente (milanese) del Senato, Ignazio La Russa. Solo un abile invito ufficiale alla senatrice a vita Liliana Segre aveva consentito a Sala di conquistarsi le prime pagine.
Ma non è stato certo il primo passaggio politico negli oltre due secoli e mezzo di storia del teatro. Il più importante, recentemente, è stato lo screzio fra il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Riccardo Muti (non estraneo al centrodestra, a differenza del predecessore Claudio Abbado, vicinissimo al Pci). Relativamente sotto silenzio è passato un caso addirittura geopolitico e nei fatti molto finanziario: il rifiuto finale – dopo una fase di esitazione – di una cospicua donazione da parte di una principessa saudita, in una città in cui gli investitori immobiliari arabi sono stati determinanti fin dall’inizio del secolo, soprattutto a cavallo dell’Expo 2015. Nel “contesto Scala” non manca d’altronde una forte connotazione sindacale, nell’orchestra e attorno. Forse anche Pericle sarebbe stato messo a dura prova.
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