La seconda opera in cartellone della stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma è la pucciniana Madama Butterfly. La prima rappresentazione è stata il 16 luglio, una serata che minacciava temporali ma durante lo spettacolo è volta al meglio. Non è né una nuova produzione né una ripresa ma un riallestimento di una messa in scena vista alle Terme di Caracalla nel 2015 per adattarla alle differenti condizioni, soprattutto l’enorme palcoscenico. Teatro pienissimo in quanto la produzione, già ripresa nel 2016 alle Terme di Caracalla, era stata un enorme successo il cui ricordo è rimasto vivo ai romani.
Per molti aspetti, è spettacolo trasgressivo. Non che ci siano cantanti che svestono e vestono in scena, momenti di sesso esplicito e un pizzico di masochismo, come, ad esempio, nella nuova produzione viennese di Parsifal. Lo spettacolo è, sotto questo punto di vista, castissimo anche nell’amplesso che chiude il primo atto. E’ trasgressivo perché nella Roma ‘palazzinara’ (o meglio deturpata dai ‘palazzinari’) non solo porta la vicenda ai giorni d’oggi ma trasforma Pinkerton in un ‘palazzinaro’ che va in Giappone alla ricerca di minorenni (Butterfly ha 15 anni nel primo atto e meno di 19 nel secondo) ma soprattutto per fare speculazioni edilizie.
Acquista un’area in una collina nei pressi di Nagasaki, con la fanciulla, una casetta e un terreno agricolo, considerati come beni pertinenziali; copre il terreno di palazzine che andrebbero bene a Corviale (o a Cinisello Balsamo). La produzione è molto più dura dello spettacolo creato da Damiano Michieletto nel 2010 a Bologna e ripreso nel 2015, nonché visto nel circuito micro cinema e su RAI5 in televisione. Michieletto portava l’azione è ai giorni d’oggi (o quasi) in uno squallido ‘basso’ sottoproletario di Tokyo dove Butterfly (Amarilli Nizza) è poco più di una prostituta redenta dall’amore per Pinkerton (Massimiliano Pisapia) e non segue i consigli del console (Alberto Mastromarino). Molto più duro perché il dramma di una ragazza distrutta da un palazzinaro è più feroce di quello di una giovane indirizzata sin da bambina alla prostituzione, secondo un uso delle famiglie giapponesi decadute (il padre di Cio-cio-san è stato indotto al suicidio dai “poteri costituiti”).
La concezione generale dello spettacolo è de La Fura del Baus, il gruppo di avanguardia catalano; la regia di Alex Ollé, le scene (bellissime) di Alfons Flores, i costumi di Lluc Castello, video di Frank Aleu. Regia, scene e costumi sono di grande livello e lontane dalle più recenti messe in scene da La Fura, quali la discutibilissima Forza del destino proposta dal Maggio Musicale Fiorentino. Come avviene spesso, Ollé cura poco la recitazione dei cantanti, che si affidano alla loro esperienza e sensibilità.
In merito alla parte musicale, le prime notazioni vanno all’orchestra ed al coro. Donato Renzetti è un veterano della partitura e l’orchestra del Teatro dell’Opera ha un altissimo livello. Complice il vento da Sud Ovest, alla fila 15, dove era il vostro chroniqueur , il suono orchestrale arrivava benissimo e mostrava la spesso sottovalutata ricchezza della partitura: una dozzina di temi che si incrociano come arabeschi in un sinfonismo continuo che sfocia nel mirabile “intermezzo” della notte di attesa del ritorno di Pinkerton a Nagasaki; è di solito all’inizio del terzo atto ma in questa edizione in due parti tra la prima e la seconda scena della seconda parte. Ottimo il coro preparato da Roberto Gabbiani, sia nella festa nuziale né nella sequenza “o bocche chiuse” presentata come una ieratica processione.
Riguardo al cast, grande attesa per Corinne Winters, soprano americano molto apprezzato è al debutto sia nel ruolo sia al Teatro dell’Opera di Roma. E’ giovane, attraente e come in genere i soprani americani molto addestrata nella recitazione. E’ un soprano drammatico con emissione molto pura e grande estensione vocale che nel primo atto incarna a pennello la Cio-cio-san bambina e nella seconda parte la donna cresciuta in fretta e di fronte a scelte difficili. Applaudita a scena aperta dopo Un bel dì vedremo e Tu, tu, tu, tu piccolo Iddio, ha avuto vere e proprie ovazioni al termine dello spettacolo. Al suo fianco, nei panni di Pinkerton, Saimir Pirgu. Lo seguo dai suoi primi successi, ossia da quando nel 2002 interpretò il Cavalier Belfiore ne Il viaggio a Reims al Rossini Opera Festival ed ho anche avuto la ventura di essere tra il pubblico ad un suo concerto al Teatro dell’Opera di Tirana nel 2010. E’ ammirevole come in questi anni ha gestito la propria transizione da tenore lirico di coloratura con scoppiettanti “do” a tenore imperniato sui registri di centro.
Adriana Di Paola è un efficace Suzuki. Andrzej Filończyk un buon Sharpless. Completano il cast Pietro Picone (Goro), Raffaele Feo (Principe Yamadori), Luciano Leoni (Zio Bonzo) e due talenti del progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma Sharon Celani (Kate Pinkerton) e Arturo Espinosa (commissario imperiale). Tutti di livello.
Un solo dubbio. Viene utilizzata la partitura ormai di riferimento – ossia la versione del 1906 approntata da Puccini per l’Opéra Comique di Parigi ed entrata in repertorio, con una serie di piccole aggiunte e ritocchi fatti successivamente dal compositore. Nel 2014 a Genova è andata invece in scena una vera e propria rarità: l’edizione che trionfò al Teatro Grande di Brescia nell’autunno 1904 dopo il vero e proprio tonfo a La Scala alcuni mesi prima. Puccini cambiò poco tra la versione de La Scala e quella di Brescia (l’esito a La Scala è in gran misura attribuibile all’esecuzione). Mantenne l’opera in due atti, ritoccò leggermente l’orchestrazione ed aggiunse l’aria ‘Addio fiorito asil’ per il tenore.
Con una regia come quella de La Fura del Baus sarebbe stato preferibile utilizzare l’edizione del 1904. Il libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa ispirata dall’omonimo testo in un atto unico di David Belasco, che Puccini ebbe modo di vedere a Londra nel 1900: profondamente colpito dalla tragedia umana della protagonista, Cio-cio-san suicida per amore, e affascinato dall’ambientazione esotica di carattere giapponese, diede voce ad una delle eroine più famose della lirica. Puccini avrebbe voluto mantenere l’’atto unico’, allora di moda ma la gestione de La Scala preferivano due atti per la difficoltà di trovare una seconda opera in un atto con cui mettere in scena Madama Butterfly.
La versione milanese del 1904 si è vista ad ascoltata alla Scala (dove ha inaugurato la stagione 2016-2017), oltre che due volte al Festival Pucciniano di Torre del Lago, ed una volta a La Fenice ed una a Boston. Pinkerton è un gaglioffo razzista. Tanto nella versione milanese quanto in quella bresciana, Cio-cio-san è una bambina consapevole però del suo ruolo; in un passaggio del primo atto dice che Pinkerton ha pagato per lei ben cento yen (una grande cifra) e quindi deve fare di tutto per fargli piacere. La versione milanese del 1904, con la sua crudezza, mi pare più consona all’impostazione generale dello spettacolo.
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