Al Teatro Out Off di Milano (Via Mac Mahon 16) dall’11 al 16 febbraio si potrà assistere alla prima rappresentazione teatrale di “Storia di Zhang”, testo scritto da Tullio Moreschi, per il quale ha ricevuto una menzione speciale al Premio Vallecorsi. L’autore è un medico odontoiatra, che ha sempre coltivato la passione per il teatro: per alcuni anni ha egregiamente ricoperto il ruolo di attore, successivamente è passato alla produzione scritta. “Storia di Zhang” è il terzo testo teatrale che va in scena, dopo “L’ultima commedia“, di cui ha curato anche la regia, e “Il cielo è sempre più blu“, rappresentato con la regia di Mattia Sebastian. Per “Storia di Zhang”, la scenografia, i costumi e la regia sono a carico del poliedrico Mattia Sebastian, associato alla leggendaria SCOT (Suzuki Company of Toga), da cui ha tratto l’innovativo metodo teatrale Suzuki, che punta sull’ossigeno e sul centro di gravità per espandere i cinque sensi, facendo riscoprire l’energia latente all’interno della persona, così da superare la parola e tornare al linguaggio del corpo, che stiamo perdendo. Tra i vari prestigiosi incarichi ricoperti, segnalo che Mattia Sebastian è stato direttore esecutivo del Theatre Olympics 2019, festival teatrale istituito a Delfi, in Grecia, con lo scopo di presentare i successi dei più grandi professionisti del teatro di tutto il mondo. Nel ruolo di attori, ci saranno Maya Castellini, Alessandro Conversano, Stefano D’Ippolito, Sara Fiandaca, Ginevra Masini, Giovanni Moreddu, Nicola Soldani. Gli spettacoli verranno replicati fino al 16 febbraio 2020. L’azione teatrale è ambientata nel distretto 789 di Pechino, dove, per l’aumento degli affitti, più di quattromila artisti, che vivono una vita soffocante per le ristrettezze economiche, sono costretti ad abbandonare il quartiere, in cui vivono e lavorano. Uno di loro, Zhang, darà inizio a un silenzioso sciopero della fame, adagiato di fronte a casa sua. Tullio Moreschi si è in parte ispirato alla vita reale dell’artista Zhang Huan, interessante personaggio del panorama artistico cinese, che, nato nel 1965, oggi vive e lavora tra New York e Shanghai e realizza le sue opere pittoriche usando la cenere di incenso proveniente dai templi delle province di Shanghai. La cenere, trattata e lavorata dall’artista, diventa materia prima per opere plastiche e pittoriche, restando nel contempo testimonianza essenziale delle preghiere dei fedeli, dei desideri e delle speranze di chi si reca al tempio per entrare in silenzioso dialogo con Buddha, accendendo in suo onore bastoncini d’incenso. Così lo scarto impalpabile della combustione, essendo nobile frutto di preghiere e speranze, viene riproposto come materia eccellente per opere d’arte, attraverso la lavorazione sapiente dell’artista. Nell’opera teatrale, insieme a Zhang sono presenti sua moglie Lin, infaticabile lavoratrice, i singolari anziani genitori del protagonista e l’amico Huan, anch’egli pittore. Zhang è costretto ad assoggettare la sua peculiare identità ad un mercato artistico omologatore e profittatore, ma, nonostante questo, continua a sperare e vagheggiare un mondo all’altezza dei suoi desideri e arriva a sacrificare perfino la sua vita, non solo per le persone a lui vicine, ma perché ciascun uomo possa sperimentare la libertà, che è il valore più grande e inviolabile della vita di ogni individuo. Il testo teatrale propone dialoghi serrati, coinvolgenti, appassionanti. Alla fine della rappresentazione, ci si ritrova coinvolti in pensieri profondi, capaci di abbracciare la nostra umanità più vera e si viene invitati a prendere posizione rispetto a quanto visto e ascoltato, perché non si può restare indifferenti rispetto alla vita, ai problemi e ai bisogni degli altri, che sono uomini come noi. Tutto ciò che accade sulla scena ha un valore metaforico, simbolico, iconico: è una traccia utile per ripensare alla propria vita, a come ci si relaziona col mondo e a dove si radica la nostra speranza. Del mondo, che ormai sta diventando sempre più piccolo, sappiamo poco, eppure ci appartiene. “Storia di Zhang” aiuta a capire che la vita è più ampia del nostro orticello. Inoltre, il profondo desiderio di bellezza presente nei personaggi, descritti in modo veritiero, è ciò che fa cadere l’estraneità tra gli individui e lì unifica, perché evidenzia la ferita presente in ciascuno, che noi spesso narcotizziamo. La bellezza è una lacerazione che ci fa capire che la realtà non ci basta mai. È una ferita che non può né deve essere rimarginata, per non diventare disumani, per non accontentarci di poco, ripiegandoci su noi stessi. |