TECNICHE DI EVOLUZIONE ASSISTITA E AGRICOLTURA

La crisi climatica sta mettendo a dura prova l’agricoltura e i piani dell’Ue per ridurre l’impatto della stessa sull’ambiente spaventano gli agricoltori, ma le tecniche di evoluzione assistita (TEA) non solo possono renderla più sostenibile e “amica” dell’ambiente, ma rappresentano anche un’opportunità per risolvere “antichi” problemi e rivoluzionare il settore. Ne abbiamo parlato con chi ha coniato proprio l’espressione, il divulgatore scientifico Giovanni Carrada, nonché autore tv (come Superquark), curatore e consulente nel campo della comunicazione della scienza e dell’innovazione, per capire come l’editing genomico in agricoltura, le tecniche di evoluzione assistita e la tecnologia CRISPR-Cas9 possono “plasmare” il futuro dell’alimentazione.



Qual è il ruolo dei media nel modellare la percezione pubblica sulle tecniche di evoluzione assistita e sulle tecnologie come CRISPR-Cas9?

Si parla poco in generale di innovazione e sostenibilità in agricoltura. Eppure, la produzione di cibo – non lo dico io, ma lo dice la FAO – è la singola attività umana con il più forte impatto sull’ambiente, perché di fatto sottrae terra agli ambienti naturali. Non si parla poco solo di biotecnologie, ma si parla poco di tutta l’innovazione agricola.



È un campo in cui c’è una percezione pubblica radicata in base alla quale in campagna non bisogna mai cambiare niente, come se fosse una specie di museo. “Si mangiava meglio una volta, si produceva meglio prima”, ma non è affatto vero. Si mangiava male e poco, si produceva con un enorme impatto ambientale, perché quando devi coltivare tanta terra per produrre poco cibo, si distrugge biodiversità.

Quando si parla di agricoltura se ne parla sempre in termini bucolici, un po’ nostalgici, ma raramente si racconta l’agricoltura vera. Quella di cui si parla spesso è un’agricoltura un po’ di fantasia.



Sono legittimi i timori di chi parla di rischio di impatto sull’ecosistema da parte delle nuove tecniche di evoluzione assistita?

C’è un rischio di impatto dove si coltiva, ma se io uso meno terra, ne posso restituire alla natura. L’Italia è uno dei paesi avanzati in cui questo sta avvenendo da decenni. Ora c’è bisogno di meno terra.

Basti pensare alle paludi, gli ambienti più ricchi di biodiversità: oggi ne avremmo fatto un parco nazionale, non li avremmo bonificati. Prima lo si faceva perché avevamo “fame” di terra, non avevamo da mangiare. L’unico modo per aumentare la produzione di cibo era mettere a coltivazione più terra. Quando è nata l’agricoltura moderna non c’è stato più bisogno di tutta questa terra.

L’innovazione ha fatto molto, pensiamo anche ai pesticidi che si usano oggi: non sono quelli che si usavano negli anni ’50-60, che erano tremendi. Oggi sono prodotti molto regolamentati, le sostanze sono meno tossiche e meno persistenti nell’ambiente. Ci sono regole molto rigide nell’applicazione, organismi di controllo. Infatti, la stragrande maggioranza dei prodotti, anche convenzionali, che arrivano sul mercato, secondo i dati del Ministero della Sanità, non hanno neanche tracce di pesticidi. Questo è il risultato di innovazione, regolazione, impegno di tanti, anche di chi ha protestato ovviamente, perché se nessuno protesta le cose non cambiano.

L’innovazione ha fatto passi da gigante. Lo stesso, ad esempio, sul consumo di acqua: ci sono tecnologie per l’irrigazione molto sofisticate, c’è l’agricoltura di precisione.

Come pensa che l’Italia e l’Europa dovrebbero regolamentare le Tecniche di Evoluzione Assistita per favorire l’innovazione senza trascurare la sicurezza?

Le regole devono essere stringenti, nel senso che i controlli devono accertare che non si arrechino danni. Il problema è quello che avviene normalmente con tutti i prodotti. Quando si produce un farmaco, ci sono regole, controlli che vanno fatti per vedere se può essere dannoso oppure no, ma la regolamentazione delle biotecnologie è stata fatta in maniera completamente diversa. Era una regolamentazione che discriminava in base non al prodotto finale, che è la cosa importante, ma in base alla tecnologia che viene usata per produrlo, ed è assurdo. È l’unico settore che viene regolato in questo modo.

Bisognerebbe regolamentare e verificare con grande attenzione i prodotti finali, non la tecnologia che li ha prodotti. La stessa situazione si presenta con la carne coltivata in laboratorio: non devo dire laboratorio sì o no, ma controllare se il prodotto che viene fuori è una cosa che fa male oppure no, come avviene con i farmaci.

Quindi, è il livello della regolazione che va cambiato. È il cosiddetto principio della “neutralità tecnologica”, che è discusso proprio in questi giorni sulle nuove fonti energetiche. Io devo sostenere o autorizzare delle tecnologie che mi permettono di avere dei risultati effettivi di sostenibilità.

Quando la politica sceglie la tecnologia è sempre un disastro. La politica deve controllare i prodotti. Se vogliamo migliorare effettivamente l’ambiente dobbiamo andare a verificare, a valutare i risultati reali, non a scegliere tecnologie a monte o filosofie di intervento. La filosofia non cambia il mondo, almeno in questo caso.

Quali sono le sue considerazioni sulle implicazioni etiche dell’utilizzo delle Tecniche di Evoluzione Assistita e quali problemi etici si pongono?

Queste tecnologie hanno il grande vantaggio di essere semplici, rapide e molto economiche. Il problema etico dipende da altre cose, ad esempio queste tecnologie non bastano da sole, bisogna anche sapere dove andare a cambiare il Dna, conoscere con grande precisione la biologia e la genetica della pianta. Questo presuppone che ci sia molta ricerca di base in questo campo; l’Italia, per esempio, ha un’ottima ricerca genomica, tutta pubblica peraltro. Mentre sugli OGM del passato era molto importante la tecnologia, qui è molto importante la scienza di base che permette di utilizzarla, per sapere cosa andare a cambiare.

Non devo aspettare 10-15 anni per sapere se una nuova pianta funziona, bastano uno-due anni. Quindi, l’innovazione è accessibile anche alle aziende piccole, alle start-up, è accessibile ai paesi più poveri, si possono innovare anche le colture minori, e per l’Italia è importantissimo. Noi abbiamo perso il San Marzano per un fungo. Le tecniche di evoluzione assistita sono semplici, economiche e rapide, possono essere applicate a varietà locali, tradizionali.

Su queste nuove tecnologie anche Coldiretti, che era stata grande nemica delle biotecnologie per tanti anni, ha detto che servono effettivamente proprio all’agricoltura italiana, perché permettono di migliorare, mantenendola distintiva.

Tornando alla sperimentazione sul vino che inizia a fine settembre, perché le viti hanno avuto questi problemi? Perché non sono mai state migliorate geneticamente, anche con i metodi tradizionali dell’incrocio, perché se incrocio un vitigno preziosissimo con altro vitigno che porta quella resistenza al fungo, la progenie di questo incrocio non sarà come il vitigno originale e non potrò chiamarlo come il vitigno.

Ora non serve fare l’incrocio, quindi posso avere il mio pinot super tipico, come qualsiasi altro prodotto tipico, ma resistente ai funghi. Questo per un paese come l’Italia, che ha tante varietà tipiche – e il vino è l’esempio per eccellenza – è una benedizione, perché si possono risolvere i problemi agronomici senza toccare nulla delle qualità organolettiche della pianta.

Perché nell’agricoltura invece c’è ancora questa resistenza sulle Tecniche di Evoluzione Assistita, mentre nella medicina si viaggia a una velocità diversa?

Perché il rapporto costi-benefici che percepisce il cittadino è completamente diverso, se noi stiamo male accettiamo qualsiasi cosa pur di guarire, se abbiamo un mal di testa, ci riempiamo di farmaci. Il problema dell’agricoltura non lo sentiamo così vicino e così impattante sulla nostra vita.

Anche se in realtà ha un impatto sulle nostre vite…

Non direttamente come una malattia che ci colpisce, quindi non percepiamo lo stesso tipo di rapporto costi-benefici, per cui siamo disposti a rischiare tantissimo quando si tratta di curare le nostre malattie, con il cibo non percepiamo il vantaggio di usare meno fitofarmaci, meno fertilizzanti. Io cittadino mi chiedo: perché devo rischiare?

Infine, in che modo la collaborazione con Piero Angela ha influenzato il suo approccio alla divulgazione di temi complessi come CRISPR-Cas9?

Bisogna studiare, prepararsi ed essere onesti intellettualmente, non seguire per forza le mode, ma cercare di ascoltare cosa dicono gli scienziati, cercare di non essere popolari a tutti i costi, ma essere onesti verso il pubblico, anche quando si deve dire una cosa che sembra una cosa un po’ strana, un po’ contraria a quello che uno sente dire. Piero Angela era una persona enormemente onesta verso il pubblico.

(Silvana Palazzo)