Ted Bundy, serial killer insospettabile e autore di una impressionante scia di omicidi che gli valse la condanna a morte, prima di finire la sua esistenza sotto le scariche di una sedia elettrica parlò ai microfoni dello psicologo James Dobson raccontando alcune cose di sé e della sua storia di “normalità” e sangue. Le sue ultime parole ricalcano quello che, a suo dire, sarebbe stato il percorso che lo avrebbe condotto a commettere almeno 30 delitti e ad essere sospettato di averne compiuti altrettanti. Crimini, questi ultimi, che potrebbero essergli attribuiti ma che sono rimasti inchiodati al limbo dei casi irrisolti.
Ted Bundy è nato nel 1946 in quella che lui stesso ha dipinto come “una famiglia normale, di sane e solide radici cristiane“, cresciuto con amore da due genitori senza ombre e completamente devoti ai loro 5 figli. Nessuna violenza subita, verbale o fisica, all’interno della loro abitazione, nessun episodio che può definirsi critico, per un bambino, a fare da tessuto all’ipotesi di un’evoluzione criminale come quella di Ted Bundy. Accusato di aver ucciso almeno 30 donne, alcune giovanissime, ammise le sue responsabilità escludendo un coinvolgimento della sua famiglia nella genesi del male che avrebbe corroso la sua mente fino a trascinare decine di vittime nel suo scioccante abisso di orrori.
Chi è Ted Bundy, cresciuto in una famiglia normale e diventato un mostro…
Prima dell’esecuzione della pena di morte a suo carico, a mezzo della sedia elettrica, Ted Bundy concesse la sua ultima intervista a James Dobson e raccontò il cammino che, a suo dire, lo avrebbe portato a commettere circa 30 omicidi di donne negli Stati Uniti. Una carriera criminale densa di violenza e orrori e coagulata in un’epoca che va dal 1974 al 1978, incorniciata da una sinistra ombra: quante furono davvero le vittime del serial killer? Ad oggi non c’è una risposta. Ted Bundy potrebbe aver ucciso molte più donne nel corso della sua vita, ma fu condannato a morte per almeno 20 omicidi e giustiziato in Florida nel 1989, all’età di 43 anni, trascinando nella tomba un presunto bagaglio di terribili segreti ancora da svelare.
Fino all’ultimo, Ted Bundy disse di non essere “nato mostro” ma di esserlo diventato dopo un primo incontro con la pornografia “soft” quando aveva circa 12 anni. “Le persone del mio genere non sono una specie di mostri nati. Siamo cresciuti in famiglie normali“, raccontò nell’ultima intervista prima di morire, in quella che suonò immediatamente come una confessione. Parole che, nell’immaginario collettivo e sulla carta stampata, si tradussero in una riflessione: il male, quello vero e più atroce, può nascondersi anche nell’insospettabile gentleman della porta accanto. Ted Bundy, l’assassino seriale che sconvolse l’America e il mondo intero, fu capace di crimini particolarmente efferati sotto la maschera del perfetto gentiluomo e fu anche questa sua storia di apparente normalità a renderlo incredibilmente spaventoso, indecifrabile e imprevedibile. Una parabola sconvolgente sintetizzata dal suo stesso monito alla società che, a suo dire, lo avrebbe voluto liquidare come un errore irripetibile del genere umano: “Siamo i vostri figli, i vostri mariti, e siamo cresciuti in famiglie normali”. Come a dire che sì, il male esiste e spesso fiorisce proprio nei luoghi e nei cuori più inaspettati.
Ted Bundy, la confessione prima della sedia elettrica: così tutto è iniziato
Ted Bundy descrisse il punto di “non ritorno” che, secondo la sua lettura del percorso che lo avrebbe condotto a indossare i panni dello spietato assassino insospettabile, all’età di 12 anni lo avrebbe spinto a covare nella mente inenarrabili orrori. Affascinato dalla pornografia inizialmente “soft”, si sarebbe ben presto avvicinato a scene sempre più esplicite e violente coltivando una passione per la sofferenza altrui difficilmente controllabile. “Nel negozio vicino a casa, intorno ai 12-13 anni, ho fatto il mio primo incontro con la pornografia soft. I ragazzini sono soliti frugare nella spazzatura buttata dai vicini e possono trovare giornaletti ancora più violenti di quelli che si acquistano nei negozi, anche riviste di cronaca nera con immagini di violenza ancora più esplicite. Vorrei mettere in evidenza i gravi danni che questo tipo di pornografia violenta può provocare. Questa influenza modifica il comportamento: non sto dicendo che ciò che ho fatto sia stato colpa della pornografia, ma vorrei cercare di spiegare come questo tipo di immagini può modificare il comportamento un ragazzino“.
Nel suo caso, Ted Bundy disse che quella estrema violenza avrebbe presto “preso possesso” dei suoi pensieri senza più lasciarlo. “Per quanto i miei genitori siano stati attenti, essa mi ha strappato alla mia famiglia“. Il serial killer sarebbe diventato tale, secondo il suo racconto choc, quando si convinse che stare a guardare “non bastava più“. Da spettatore ad attore di quelle violenze, il passo sarebbe stato piuttosto breve. “Per mia personale esperienza – aggiunse nel corso della stessa ultima intervista – il tipo più dannoso di pornografia è quello che coinvolge la violenza, in particolare la violenza sessuale. Perché l’unione di queste due forze, come so fin troppo bene, porta a comportamenti semplicemente troppo terribili da descrivere”. Il 24 gennaio 1989, poche ore dopo aver rilasciato quell’intervista a James Dobson, Ted Bundy morì sulla sedia elettrica.