La produzione cinematografica israeliana continua a stupirci e – senza voler apparire partigiani – a piacere molto a pubblico e critica. Teheran è subito entrata a pieno titolo tra le migliori. Per alcuni avrebbe già preso il posto lasciato vuoto da Homeland. La nuova serie tv creata da Moshe Zonder (l’autore dell’altra serie di successo mondiale israeliana Faudagiunta alla seconda stagione) è apparsa in Italia poche settimane fa su Apple Tv+ (venerdì sarà disponibile l’ottavo e ultimo episodio) ed è già un caso di successo.



La storia ha un minimo comune denominatore con Fauda che riguarda la particolare natura multietnica dello stato di Israele, dovuta alle sue origini e alla convivenza di ebrei provenienti da popolazioni e Paesi assai diversi tra di loro. Questa particolarità si riflette sul ruolo che queste singole componenti etniche hanno nel continuo lavoro di intelligence a difesa del Paese, ma ancora di più nel difficile e pericoloso lavoro sul campo. Così se in Fauda i protagonisti, di origini palestinesi, sono inviati in missione nei territori governati dall’Olp, in Teheran la storia racconta le traversie di Tamar, una hacker-agente del Mossad di origini iraniane, inviata a Teheran in missione segreta.



Gli ebrei iraniani che sono scappati in Israele hanno rotto ogni rapporto con gli amici e i parenti lasciati nel Paese di origine. Una scelta dolorosa e mai accettata. Anche Tamar, per quanto sia arrivata in Israele a soli 6 anni, conserva il ricordo della sua infanzia nel suo Paese di origine, i luoghi e soprattutto ne conosce la lingua. Nelle serie tv israeliane  è l’uso delle lingue – a volte dei dialetti – originali a renderle davvero uniche. La storia infatti sembra raccontata in “presa diretta” senza doppiaggi, con rapidi passaggi dal persiano all’inglese, all’ebraico.



Tamar viene introdotta in Iran con uno stratagemma, ma lo scambio di identità non va a buon fine. Così si trova a doversi mettere in salvo in un Paese nemico e con i servizi segreti iraniani ormai allertati. Non trova dunque altra soluzione immediata che rivolgersi alla sua famiglia d’origine, sconvolgendo la loro vita e riaprendo ferite del passato.

Scoperta nel suo nuovo rifugio perché denunciata dalla giovane cugina pasdaran, l’agente israeliana trova riparo in una comunità di giovani dissidenti conosciuti nel “dark web”, giovani hacker come lei. Tamar nasconde la sua reale identità a Milad, il giovane che ingenuamente se ne innamora e la conduce nella vita segreta dei giovani contestatori iraniani, fatta di musica occidentale, droghe e alcol.

Sapremo solo nell’ultimo episodio se il suo impegno a tener viva la missione per cui è stata spedita in Iran serva davvero a raggiungere l’obiettivo o se anche lei alla fine è stata “usata” dai vertici del Mossad per distogliere i servizi segreti iraniani dai reali obiettivi della missione.

Zonder insiste molto su confondere i confini tra i buoni e i cattivi. Anzi, spinge abilmente verso le ragioni di entrambi, mettendo a fuoco l’umanità dei singoli, le loro debolezze. Dal suo punto di vista, un contributo alla pace. Che ovviamente suscita dibattito e polemiche, innanzitutto nel suo Paese.

L’interpretazione di Tamar è della bravissima attrice esordiente Niv Sultan. L’altro protagonista è il capo dei servizi iraniani Faraz Kamali, interpretato dall’attore iraniano naturalizzato statunitense Shaun Toub. Anche lui costretto a nascondere ai suoi superiori il dramma della moglie rapita dagli israeliani di ritorno da un intervento chirurgico a Parigi. Toub ha alle spalle una corposa attività cinematografica (Il cacciatore di aquiloni; Iron Man; Stretch, guida o muori), ma è molto noto al pubblico delle serie tv per un ruolo simile interpretato in un paio di stagioni di Homeland e per la sua partecipazione a Snowpierce.

Anche in questo caso, dopo il successo (e le polemiche) in Israele e il positivo esordio sulle piattaforme che hanno fatto conoscere la serie in tutto il mondo, è stata già decisa la messa in produzione della seconda e della terza stagione.