La Cassazione, riunita nella III sezione penale, ha deciso per una nuova stretta sul materiale pedopornografico visionabile o scaricabile tramite le chat Telegram. Sono, infatti, parecchi i gruppi privati e chiusi, ai quali si accede tramite approvazione da parte di un amministratore, in cui numerosi utenti in giro per il mondo condividono deliberatamente foto e video che ritraggono minorenni in atteggiamenti sessualmente espliciti. Per questa ragione, la Cassazione ha deciso di definire definitivamente come si deve considerare il materiale pedopornografico acquisito tramite Telegram ai fini giudiziari, che essendo per sua natura astratto, era precedentemente considerato come “immateriale” e pertanto punito in maniera differente da quello che, invece, è stato scientemente scaricato in memoria o su un supporto esterno.



La sentenza della Cassazione sul materiale pedopornografico su Telegram

Insomma, la nuova sentenza (numero 36572/2023) della Cassazione definisce che la semplice presenza intenzionale su un gruppo Telegram in cui si condivide abitualmente materiale pedopornografico è da riconoscere come “detenzione” dello stesso materiale. Non servirà più, dunque, aver attivamente scaricato le foto e i video incriminati sul proprio cellulare per far scattare la condanna ai fini di detenzione, punita in maniera più pesante rispetto alla norma che disciplinava la materia, ovvero l’accesso ingiustificato.



In altre parole, non vi è differenza tra lo scaricare il materiale pedopornografico sul proprio cellulare o computer e l’accesso a quel materiale tramite la sola memoria cloud della chat Telegram. Secondo la Cassazione, infatti, foto e video non devono essere considerate come entità astratte perché occupano una precisa quantità di memoria all’interno del server cloud della chat privata, fornendo però la possibilità di essere utilizzati contemporaneamente da diversi soggetti. Esclusi dalla sentenza sul materiale pedopornografico gli utenti che casualmente o per curiosità accedono alla chat Telegram che lo contiene, o nel caso in cui quel materiale sia immesso in chat in modo occasionale, ma serve sempre la consapevolezza di partecipare ad una chat di pedofili (nel caso in esame alla Cassazione, la chat si chiamava ‘Famiglia e abusi’).

Leggi anche

SCONTRO GOVERNO-PM/ "Separazione dei poteri in frantumi, serve un nuovo patto repubblicano"