Spunta una nuova testimonianza sul Mostro del Circeo, alias Angelo Izzo, e a fornirla è G.P., un operatore culturale che ha prestato servizio presso il carcere di Campobasso. A raccogliere le sue dichiarazioni è stato il magazine “Mow Mag”, ai cui microfoni l’intervistato, che ha preferito mantenere l’anonimato, ha riferito di avere lavorato con Angelo Izzo a un laboratorio teatrale e di scrittura.
“Conobbi Izzo mentre tenevo un corso teatrale e di scrittura in un reparto del carcere di Campobasso dove erano detenuti i collaboratori di giustizia, ma anche lui era in quella sezione – ha commentato l’uomo –. Alla fine di quel percorso avremmo dovuto scrivere un libro insieme e per tre anni abbiamo lavorato tre pomeriggi ogni settimana. La sua era una personalità molto complessa. Prima di tutto emergeva molto rispetto agli altri nel gruppo. Era piuttosto colto. Dotato di uno spirito critico. Personalmente cercava in tutti i modi di avere un rapporto positivo con le persone che conosceva. Con me si instaurò un rapporto di amicizia fondato su posizioni paritarie, ma certamente avevo ben presente che fosse una persona della quale non ci si potesse fidare completamente”.
“CREDEVO CHE IL MOSTRO DEL CIRCEO MI AVREBBE UCCISO: MI PRESE IL CELLULARE E…”
Il libro che scrisse in carcere Angelo Izzo si intitolava “The Mob, la banda dei pariolini”, era sostanzialmente la sua autobiografia giovanile: “Ho consegnato tutto alle forze dell’ordine perché potevano esserci elementi utili alle indagini – ha aggiunto a “Mow Mag” l’operatore -. Alcune parti sono state pubblicate da alcuni giornali dell’epoca, ma io non ho mai chiesto niente. Mi avevano offerto delle grosse somme, però non ho voluto speculare sulla vicenda”.
Izzo partecipò quindi a un’associazione fuori dal carcere, “Città Futura”, un ambiente che lo fece cambiare molto secondo l’intervistato: “Era frequentato solo da detenuti e in particolare dal gruppo di Izzo. Io sono andato un paio di volte a trovarli, ma dopo l’ultima decisi di non farlo più. A un certo punto mi prese da parte, volle che gli consegnassi il mio cellulare e gli tolse la batteria. Eravamo al quinto piano di un palazzo e ho pensato: ‘Addio…'”. Invece, Izzo non lo uccise, tolse soltanto la batteria del telefonino perché temeva di essere intercettato. La polizia poi disse all’operatore culturale che aveva rischiato grosso.