Il contratto di lavoro a tempo determinato, nonostante le altalenanti restrizioni adottate dal Legislatore, continua a essere uno strumento estremamente diffuso nel nostro mercato del lavoro. Le ragioni sono molteplici, ma se ne possono citare essenzialmente due tra le più significative: questo particolare tipo di rapporto di lavoro subordinato permette al datore di lavoro di sostituire quei dipendenti che, per varie ragioni, siano temporaneamente assenti dal lavoro (per maternità, ferie, infortunio, aspettativa, o altre cause); il rapporto di lavoro a termine consente alle parti anche di valutare la reciproca opportunità e convenienza di uno stabile di inserimento nell’organizzazione datoriale.



Al Legislatore non è però sfuggito che talvolta questo strumento è abusato a danno del lavoratore che può trovarsi per lungo tempo in una situazione di incertezza (o, se si vuole utilizzare un termine ricorrente, di “precariato”) circa il proprio futuro lavorativo. Per tale ragione, la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, in un’ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi, prevede che il lavoratore assunto a termine che “ha prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha [un] diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine” (art. 24, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015).



Consapevole anche della condizione di maggiore “fragilità” delle lavoratrici madri, per queste ultime il Legislatore ha esteso il diritto di precedenza anche alle “assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine” (art. 24, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015).

Ai fini dell’esercizio del diritto di precedenza, è però necessario che il lavoratore che intenda avvalersene “manifesti per iscritto la propria volontà in tal senso al datore di lavoro entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro“. In ogni caso, poi, “il diritto di precedenza si estingue una volta trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto” (art. 24, comma 4, D.Lgs. n. 81/2015).



La norma sembra (apparentemente) chiara. Tuttavia, a un’analisi più attenta, emergono alcune problematiche non di poco conto: se il lavoratore può esercitare il diritto di precedenza fino a 6 mesi dalla cessazione del rapporto, ciò significa che può far valere quel diritto solo dopo che il suo rapporto di lavoro sia terminato? Oppure può esercitarlo anche durante il rapporto di lavoro a tempo determinato? E se può esercitarlo anche durante il suo rapporto di lavoro, quanto dura effettivamente il diritto di essere “preferito” nelle nuove assunzioni? Per i 12 mesi successivi alla manifestazione di volontà? Oppure fino a12 mesi dal termine del rapporto di lavoro?

Nel silenzio del Legislatore, il compito di trovare una soluzione coerente con l’impianto normativo è stato lasciato alla giurisprudenza, ed è in questo contesto che si inserisce la recente pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza del 16 luglio 2024, n. 19348).

La fattispecie riguardava una dipendente assunta con un contratto a tempo determinato che, nel corso di tale rapporto di lavoro, aveva dichiarato per iscritto al proprio datore di lavoro di volersi avvalere del diritto di precedenza, senza tuttavia essere successivamente assunta. Il Tribunale di Belluno, prima, e la Corte d’Appello di Venezia, poi, avevano dato ragione al datore di lavoro, affermando che il diritto di precedenza non può essere validamente manifestato in costanza di rapporto.

Ma la lavoratrice non si dava per vinta e sottoponeva la questione alla Suprema Corte. Quest’ultima, analizzando le norme applicabili ratione temporis (ossia l’art. 5 commi 4quater e 4sexies, D.Lgs. n. 368/2001, le cui disposizioni sono state integralmente trasfuse nell’art. 24 D.Lgs. n. 81/2015, sopra richiamato), ha ribaltato i precedenti verdetti, stabilendo che il diritto di precedenza può essere esercitato dal lavoratore anche in costanza di rapporto di lavoro e il lasso di tempo durante il quale permane il diritto di precedenza dura 12 mesi a partire dal momento in cui tale diritto viene esercitato (per iscritto).

L’interpretazione fornita dalla Cassazione, pur aderente al dato letterale della norma, rischia però di condurre ad alcune situazioni paradossali.

Se infatti il diritto di precedenza è vincolante per il datore di lavoro solo dopo che il lavoratore ha manifestato per iscritto l’intenzione di avvalersene, si potrebbe venire a creare la seguente situazione: il sig. Rossi è stato assunto a tempo determinato, non ha ancora esercitato il suo diritto di precedenza, e mentre ancora lavora oppure alla scadenza del suo rapporto di lavoro si vede affiancato o rimpiazzato da un altro lavoratore pure assunto a tempo determinato (tale ipotesi è adombrata da una sentenza del Tribunale di Velletri del 2016 e da una pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata del 2022). In questo caso la nuova assunzione a tempo determinato sarebbe legittima, ma verrebbe “dribblato” dal datore di lavoro il diritto di precedenza (che non potrebbe essere esercitato non trattandosi di una nuova assunzione a tempo indeterminato).

Si pensi, ancora, al caso (non infrequente) in cui il contratto a tempo determinato duri più di 18 mesi (il massimo, è attualmente fissato a 24 mesi): se il lavoratore esercitasse il suo diritto di precedenza non appena superati i primi 6 mesi di contratto, tale diritto potrebbe addirittura esaurirsi prima ancora del termine del rapporto di lavoro, lasciando il lavoratore “scoperto” per tutte le assunzioni che dovessero essere disposte dopo il termine del suo rapporto di lavoro.

Non vi è certezza che l’orientamento della Suprema Corte si consolidi. Altri Giudici sono infatti pervenuti alla diversa conclusione che il diritto di precedenza può essere esercitato solo una volta che è cessato il rapporto di lavoro (cfr. Tribunale di Velletri del 27 ottobre 2016, n. 147, sopra citata).

Tuttavia, se l’orientamento espresso dalla Cassazione dovesse prevalere (considerata anche la sua funzione nomofilattica), il lavoratore a tempo determinato dovrebbe attentamente valutare il momento in cui “attivare” il diritto di precedenza, avendo una sola cartuccia da sparare: one shot, one kill.

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