L’ho scoperto nei giorni di Natale che, come uomo, sono stato adottato. La cosa, tra l’altro, m’è apparsa così evidente da destare in me un sospetto: “Come ho fatto, finora, a non accorgermene?” Forse che, da lassù, al Cielo parve esser uno strazio il vedere come io (soprav)vivevo quaggiù. È anche vero che chissà quante volte Dio avrà provato a farmi capire le cose. Il numero delle volte è pari all’incalcolabile: “Molte volte e in diversi modi nei tempi antichi Dio ha parlato ai padri per mezzo dei profeti – leggiamo nella Lettera agli Ebrei –; ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2).



Praticamente, la Scrittura lo dice con eleganza, le cose devono essere andate così: molte volte Dio ha provato a far capire all’uomo “Non sei solo, ci son io che ti amo!” L’uomo, però, faticava a crederci: “Dicono tutti così – replicava al Cielo –. Alla fine, però, siamo tutti soli quaggiù. Anche tu ci hai abbandonato!”



Per anni, secoli, millenni ragionarono così: finché Dio, “nella pienezza dei tempi” (tradotto: “quando la misura fu colma”), non decise di firmare un’azione di sorpresa. “Ti senti orfano, abbandonato? Ti adotto io!”

A Natale, in barba ai sospetti, Dio decise di firmare un’adozione universale di tutti gli uomini. Lo fece nell’unico modo possibile: “Vai giù – disse al Figlio, che chiameranno Gesù –, abbraccia l’uomo (qualsiasi uomo e donna), così mentre tu li stringi forte, avvertiranno che sono figli miei”. Accade questo a Natale: in Gesù, Dio adotta il mondo. Ogni singolo uomo, ogni donna.



Giovanni, un fior di cervello, usa tratti di disumana bellezza per raccontare l’inaudito: Il Verbo si fece carne e piantò la sua tenda in mezzo a noi”. Piantar la tenda è gesto di scoutismo, d’alpinismo, d’emergenza estrema: “Tutti pieni gli alberghi, Padre!” deve aver gridato al Cielo Gesù dentro il grembo della Madre. Il Padre, lungi dall’arrendersi, rispose: “Pianta la tenda dove trovi uno spiazzo, non esiste che l’uomo continui a sentirsi da solo. Se tiene la porta chiusa, tu stai lì, ad aspettare che si apra”.

Non fu assolutamente un’adozione a distanza, di quelle che avrebbero mantenuto le distanze. Fu, e resta, un’adozione d’assoluta vicinanza. Così vicina che, per me che sono un farabutto, Dio continua a piantar la tenda nel mio giardino. Si fa così vicino da metterci la faccia, il nome, la cura. La reputazione, anzitutto: perché se, da Natale in poi, combino qualcosa, tutto il mondo dirà che “l’ha combinata il figlioccio di Dio”. Il fatto, a pensarci, farebbe fare una figura misera pure al mio Padre adottivo. “Ma che dici? – dirà qualcuno –. Non ci assomigli in nulla a tuo Padre. Neanche un lineamento in comune!”.

È vero: non vedi i lineamenti, ma vedi, percepisci l’amore. Ecco spiegata in poche parole cos’è l’adozione. Una mamma che aveva appena adottato una bambina, un giorno mi disse: “Giuditta non potrà avere i miei occhi, non potrà avere il mio sorriso, ma già adesso ha tutto il mio amore”. Bastava incrociare il suo sguardo per capire che non era madre–adottiva: era madre, senza bisogno di suffissi.

Quando san Paolo me l’ha detto – parlando ai Galati e ai Romani perché capissi io – subito ci sono rimasto di stucco: “Come: io sono adottato? Come ho fatto a non accorgermi finora?” Dev’essere il destino dell’amore quello di esserci e che tanti non s’accorgano della sua presenza. È buffissimo: “Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non l’ha riconosciuto” (cfr Gv 1,1-18). Il Cielo non si scoraggia perché sa bene che non ci sono bambini non voluti, ma ci sono famiglie non ancora trovate.

Anni fa Dio bussò a casa mia: trovò un uomo e una donna giovani, inesperti, impauriti. Facevano calcoli e proiezioni. Dio capì la loro preoccupazione e disse loro: “Voi lo mettete al mondo, poi me l’adotto io. Anzi, per l’occasione rinnovo l’adozione perpetua anche a voi”. Venni al mondo così: per l’amore di una madre e di un padre, mantenuto (tenuto per mano) da Dio. A casa mia, la tenda di Dio è ancora piantata. Nonostante le mie birbonate.