Massima tensione al confine tra Serbia e Kosovo. Ieri il presidente serbo Vucic ha schierato l’esercito, pronto ad intervenire per proteggere la minoranza serba in Kosovo da un eventuale uso della forza deciso dal governo kosovaro di Pristina.

Da circa due settimane i serbi che vivono ancora nel nord del Kosovo hanno istituito dei blocchi stradali per impedire alle forze di polizia governative di fare irruzione nei loro villaggi, condizionando così pesantemente il sistema di comunicazioni e di trasporti. Qualche sera fa in una di queste località, precisamente a Zubin Potok, si sono avvertiti colpi di arma da fuoco, confermati dalla Forza Nato (Kfor) che si trova qui dalla fine degli anni 90 come forza di interposizione tra i kosovari e la minoranza serba.



“È una situazione di altissima tensione” ci ha detto il generale Marco Bertolinigià comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore in numerosi teatri di guerra, dalla Somalia al Kosovo e all’Afghanistan “anche perché lungo il confine e nelle zone abitate dai serbi sono dispiegate le forze Nato con funzione di interposizione tra le due comunità, ma gli sforzi occidentali per mediare una soluzione fino ad oggi sono tutti falliti”.



La situazione nel nord del Kosovo si è surriscaldata da quando la Russia è intervenuta in Ucraina. Il problema è che in Kosovo la Nato è già sul territorio. Cosa succederebbe se l’esercito serbo intervenisse per aiutare i propri connazionali?

È una situazione esplosiva. La Nato è lì come garante di quella realtà artificiale che è il Kosovo. Se i soldati della Nato fossero coinvolti, la loro reazione potrebbe squarciare il fragile equilibrio dei Balcani.

Come mai dopo tutti questi anni a far da forza di interposizione è ancora la Nato, vista come un soggetto politico di parte, e non le forze dell’Onu?



Perché è stata la Nato a intervenire per prima, proponendosi come una sorta di braccio armato dell’Onu, che non interviene mai militarmente. Di questo intervento la Nato si è fatta gran vanto, mostrandosi al mondo come forza di intervento militare. Certamente l’Onu come forza di interposizione sarebbe stata una soluzione migliore perché è un’organizzazione meno politica, anzi, teoricamente, super partes. Non sarebbe comunque cambiata la situazione.

Forza di interposizione che non è mai stata schierata nel Donbass.

No, infatti. Ma questo fa parte del gioco del doppio standard applicato a ogni singola situazione, in particolare una differenza vistosa fra Kosovo e Donbass. Il Kosovo è una realtà piccola, abitata da neanche due milioni di abitanti, si trova nel Balcani. La Russia invece è la Russia, e la Nato non osa sfidarla. Sono però due teatri a fortissima valenza ideologica, tipica dei momenti in cui si arriva al punto del non ritorno.

Ad esempio?

In Kosovo è stato impedito al patriarca della Chiesa ortodossa di prendere possesso della sua sede storica, in Ucraina sono stati presi provvedimenti contro le chiese fedeli al patriarcato di Mosca. I toni che si stanno usando sono in entrambi i casi molto pericolosi perché fino a quando lo scontro è causato da interessi diversi si può trovare un minimo comune denominatore, ma quando si toccano principi religiosi lo scontro è destinato a infiammarsi.

Quella ortodossa è però una Chiesa molto nazionalista, di parte.

La chiesa ortodossa ha la caratteristica di essere una chiesa nazionale, ma questa è la realtà con cui bisogna fare i conti. Purtroppo li stanno facendo in maniera distruttiva e fautrice di scontri sempre più radicali.

Tornando all’ipotesi si intervento dell’esercito serbo, che cosa accadrebbe?

Sarebbe un intervento che finirebbe per toccare tutta la regione. I serbi però non sono stupidi, sanno che una situazione del genere non converrebbe. Sanno bene che qualcuno potrebbe essere tentato dall’idea di dare una lezione ai serbi una volta per tutte.

Lei ha avuto responsabilità militari di alto grado in Kosovo, conosce il Paese. Ha mai pensato che una pacificazione, un compromesso sarebbe stato impossibile da trovare?

I kosovari di vent’anni fa erano diversi, erano serbi e albanesi. I primi rappresentavano la maggioranza in certe aree. Oggi sono stati spazzati via, sono rimasti i luoghi religiosi presidiati da preti e suore ortodossi, però a una pacificazione non si arriva. In molti villaggi serbi si sono insediati gli albanesi. I serbi che erano lì erano già fuggiti nella parte musulmana della Bosnia per poi fuggire nuovamente. Non credo che accetterebbero di farlo ancora.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI