Una telefonata notturna ai maggior leader europei (inclusa, come raramente accade, anche l’Italia) da parte del presidente americano Biden non è cosa di tutti i giorni. Evidenzia la grande preoccupazione per l’ammassamento di truppe russe ai confini con l’Ucraina ormai da tempo che secondo il Washington Post sarebbero pronte a invadere il paese tra fine gennaio e inizio febbraio. Biden ha ottenuto quello che chiedeva: il sostegno e le rassicurazioni dei leader europei a lanciare nuove sanzioni contro Mosca in caso di attacco militare. Non si dice però certo di un attacco Andrew Spannaus, giornalista e opinionista americano, fondatore di Transatlantico.info, da noi intervistato: “Innanzitutto l’intelligence americana dice che non sa se Putin intende invadere davvero l’Ucraina, stiamo attenti a quello che diciamo, per non provocare una vera invasione”. Secondo Spannaus, “da quando Putin e Biden si sono incontrati a Ginevra è evidente come sia nato, e stia continuando, un dialogo fra i due leader. Va tenuto conto di come le posizioni, sia all’interno dell’amministrazione americana che in Russia, non siano tutte uguali, ma occorre comunque evitare di trarre conclusioni affrettate”.
Secondo lei, telefonando ai leader europei, Biden ha mostrato una preoccupazione eccessiva? Quanto la minaccia russa è reale?
Personalmente mi sembra una crisi un po’ forzata. Lo scorso giugno Biden e Putin si sono incontrati a Ginevra, hanno cominciato a collaborare su vari temi, sono state avviate discussioni continue e ancora è così come dimostra quest’ultimo vertice. Alcuni non sono contenti di questo dialogo, né in Ucraina, dove è stato detto che l’amministrazione americana ha ignorato la questione per mesi, ma neppure in Russia, dove ci sono forze importanti che non sono contente quando Putin tende troppo la mano all’Occidente.
Negli ultimi mesi però la tensione è cresciuta.
Ci sono state esercitazioni americane nel Mar Nero viste come provocazione, si è riaccesa la discussione sull’adesione dell’Ucraina alla Nato. Putin ha voluto reagire, far sapere che la Russia si sente minacciata e che sarebbe pronta a rispondere. Non credo abbia l’intenzione di invadere l’Ucraina, ma di far pressioni sì. Certo, se una situazione come questa viene gestita male, non sappiamo cosa potrà succedere.
Come va interpretato allora l’allarme lanciato dal Washington Post? Notizie manovrate per motivi politici, ricerca esagerata dello scoop o altro?
L’intelligence, il Dipartimento di Stato e anche la Casa Bianca a volte rendono pubbliche informazioni usando il Washington Post e il New York Times, però ci sono diversi punti di vista nell’amministrazione americana. Si mette alla prova quello che viene chiamato il tentativo di Biden di creare un dialogo di stabilità strategica. Se si è creato un rapporto fruttuoso tra i due leader, e sembra di sì, allora entrambi potranno evitare la spinta del contesto che induce a un confronto più duro.
Uno dei punti che Putin contesta, e si potrebbe dire a ragione, è l’adesione dell’Ucraina alla Nato, cosa che non piacerebbe neppure ai membri dell’Alleanza stessa, perché in caso di invasione sarebbero costretti a intervenire.
È un tema difficile. È chiaro a tutti che sarebbe meglio evitare l’adesione dell’Ucraina, perché per la Russia sarebbe una provocazione. Portare i missili e le truppe Nato ai confini della Russia è quello che temono a Mosca. Anche da parte dell’Occidente sarebbe pericoloso. Il problema è che non si può permettere pubblicamente alla Russia di esprimere un veto sull’adesione di un paese alla Nato, perché in termini di immagine la Nato stessa ne uscirebbe male. Garanzie per evitare l’adesione ci possono essere solo dietro le quinte e non formali.
Fonti autorevoli, sia russe che americane, dicono che l’unica strada percorribile per stabilizzare la situazione in Ucraina sia quella del Normandy Format, i colloqui iniziati nel 2014 che coinvolgono i rappresentanti di Germania, Russia, Ucraina e Francia, colloqui che però si sono interrotti più volte. È così?
Essenzialmente sì. Poi se si vuole inventare un altro formato va bene lo stesso. Il canale prosegue da tempo, anche se ci sono dei parametri generali che le due parti principali in gioco fanno fatica a rispettare. È chiaro che il governo ucraino vuole spingere in avanti e per questo Mosca esercita pressioni affinché ciò non accada. È difficile imporre l’attuazione dell’accordo e perciò si rimane in uno stato di limbo che espone a rischi militari. Ma, ripeto, parlare di invasione russa è una forzatura.
Biden con la sua telefonata ha ottenuto il consenso dei leader europei. Significa che ogni contrasto tra Stati Uniti ed Europa si può considerare risolto?
Biden conta molto sull’unità del fronte dei paesi democratici, come a voler dimostrare ai russi che l’Occidente è compatto. È un’arma da utilizzare e anche per l’Europa è una cosa positiva. Non è detto però che tutti siano davvero d’accordo, molti paesi europei si augurano non si arrivi a nuove sanzioni contro la Russia.
L’atteggiamento in politica estera di Biden sembra molto aggressivo, lo abbiamo visto anche con il boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi cinesi. Cosa può dirci?
Più che aggressivo, potrebbe sembrare un approccio schizofrenico per chi non guarda attentamente i processi sottostanti. Come con la Russia, Biden sta cercando un dialogo diretto anche con Xi Jinping, creando canali di stabilità a livello militare per evitare sorprese su Taiwan e per riprendere le trattative sul versante economico. La diplomazia di Biden sente la necessità di mostrare che l’America e i suoi alleati insistono sui principi democratici e sui diritti umani. Ci sono molte pressioni su Biden in questo senso. Dal punto di vista americano il boicottaggio diplomatico è una misura che non ha grandi implicazioni pratiche, il problema è che per la Cina è uno smacco pubblico, quindi si tratta di vedere se e come riescono a digerirlo senza reazioni.
(Paolo Vites)
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