Il cinquantottenne di Braone (in provincia di Brescia) a processo per avere tentato di strangolare la moglie di notte è stato assolto. Il motivo, come ricostruito dal Corriere della Sera, è che essendo sonnambulo, non era cosciente e non sapeva dunque cosa stesse facendo. Una delle prove a sostegno di questa versione sta nel fatto che l’uomo, quando si è risvegliato e ha compreso cosa fosse accaduto, si è lanciato dalla finestra. I fatti risalgono al 2021 e a distanza di anni porta ancora i segni di quel volo dal terzo piano, che lo ha costretto a rimanere in ospedale per tre mesi.



Non è stato semplice ricostruire a processo il caso. In aula a testimoniare anche la moglie, che non si è costituita parte civile. “Ho pensato fossero entrati in casa i ladri, che lui e mio figlio avessero già avuto la peggio. Poi ho riconosciuto mio marito, ma era come in trance”, così la donna ha ricordato in aula il momento in cui si è ritrovata con le mani strette al collo. Soltanto mordendogli un dito è riuscita a farlo rinsavire. L’uomo, da parte sua, ha sempre ribadito di non avere agito intenzionalmente. È proprio per questo motivo che alla fine è stato assolto dall’accusa di tentato omicidio.



Tenta di strangolare la moglie di notte e si lancia dalla finestra: le motivazioni dell’assoluzione

La versione della difesa dell’uomo che a Braone nel 2021 ha tentato di strangolare la moglie di notte in preda ad un attacco di sonnambulismo ha convinto i giudici. La chiave per il processo è stata una perizia. “Il punto è chiedersi se al momento dei fatti fosse cosciente. Stando al perito era sotto l’effetto di un evento legato al sonno, tanto da non proferire lamento quando fu morsicato. Ed è plausibile. Quindi no, non era cosciente, stato che esclude la suitas della condotta, cioè la consapevolezza”, ha affermato il pm Flavio Mastrototaro nel corso della sua requisitoria. 



È stato stabilito inoltre che il cinquantottenne non avrebbe potuto fare nulla per evitare quanto accaduto, in quanto l’unico episodio simile era avvenuto 18 anni prima. “Manca la coscienza concreta del fatto. Non c’è stata nessuna negligenza da parte dell’imputato”, ha chiarito la sentenza.