L’anti-testosterone come possibile cura per il Coronavirus? Arriva questa volta proprio dall’Italia un nuovo tipo di approccio farmacologico per curare i malati da Covid-19 e che vede ancora una volta protagonisti dei ricercatori patavini, questa volta dell’Università di Padova, e guidati dal professor Andrea Alimonti, professore ordinario di Farmacologia. Secondo questo approccio, e che ha mutuato alcune delle sue conoscenze dagli studi pregressi sui tumori maschili alla prostata, potrebbe esserci una interessante ipotesi di terapia contro il nuovo Coronavirus grazie a un enzima, il TMPRSS2, solitamente indicato come uno dei tipici markers di questo tipo di cancro. Ma come si collega questo al Covid-19? Alcune settimane fa è stato scoperto che una delle proteine che il virus utilizza per attaccare e infettare le cellule è proprio questo enzima: da qui l’intuizione di usare alcune dei risultati degli studi oncologici sul tumore alla prostata per mettere a punto una terapia sviluppata nelle ultime settimane assieme al professor Francesco Pagano del VIMM (Istituto Veneto di Medicina Molecolare – Fondazione Ricerca Biomedica Avanzata e alla dottoressa Monica Montopoli che presso l’istituto è ricercatrice: dal momento che il TMPRSS2 è regolato dal testosterone, nella cura del tumore si cerca di inibire l’attività di questo enzima con dei farmaci specifici e dunque si è ipotizzato che tali “inibitori” potrebbero anche essere efficaci contro l’infezione da SARS-CoV-2.



TERAPIA ANTI-TESTOSTERONE COME CURA PER IL COVID-19?

Lo studio che mette in correlazione la terapia oncologica per questo tipo di tumori e il Coronavirus si basa anche su altre evidenze: l’ormone maschile noto come testosterone stimola l’attività dell’enzima sopra citato ed è per questo che si trova in quantità maggiori negli uomini anziché nelle donne e forse è anche per questo che il tasso di letalità dovuto al Covid-19 sia di fatto quasi raddoppiato se si fa una proporzione tra i decessi verificatisi sinora negli uomini e nelle donne. Secondo quanto si apprende il VIMM di Padova, in collaborazione con la locale Università, sta verificando proprio quali siano le percentuali di malati oncologici alla prostata tra coloro che sono risultati positivi al Covid-19 (e vedere se sono più protetti dal virus proprio perché già sotto cura con quei farmaci) per cercare nuove evidenze e mostrare che dunque sono anche le intrinseche differenze tra i due generi a spiegare il differente grado di incidenza e mortalità del virus. Se le premesse dovessero essere confermate, ovvero se l’inibitore suddetto bloccasse davvero il Coronavirus, ecco che la gamma di terapie utilizzabili sarebbe ampia dal momento che esistono attualmente diversi inibitori dell’enzima TMPRSS2, tra cui il camostat (pare disponibile solo in Giappone) ma anche la bromexina che invece è di facile reperibilità in Italia ed è contenuta in un farmaco che cura la tosse. “Le nostre intuizioni sono supportate dal fatto che tra i malati di Covid-19 sono pochi quelli affetti da tumore alla prostata, eppure i malati oncologici essendo immunodepressi si dovrebbero ammalare di più e invece…” ha detto uno dei ricercatori sottolineando proprio uno degli aspetti che lascia per il futuro solide speranze di una terapia efficace.

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