Con l’impennata di nuovi casi di coronavirus, in Italia l’attenzione si sta concentrando sulle terapie intensive. Queste sono considerate il “termometro” dell’emergenza Covid. Al momento non si registra alcuna criticità, se non in Abruzzo dove sono in “affanno”. Nel frattempo prosegue il monitoraggio, su cui peraltro non mancano gli scontri. Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa nel Governo Berlusconi IV e attuale coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia, ha infatti attacco l’agenzia di stampa Ansa per la notizia dello studio dell’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari (Altems) dell’Università Cattolica sulle terapie intensive. “Io la leggo e capisco che in Piemonte l’83% dei posti in terapia intensiva siano occupati. E mi preoccupo. Allora chiamo Alberto Cirio. Scopro che ci sono 33 ricoverati si 327 posti ordinari. Che possono arrivare a 586 per emergenza”. Quindi, la sottolineato che la Regione Piemonte ne ha aggiunti 40 a regime, avendone ricoverati 33, “per fare notizia pesa i 33 su 40”.



TERAPIE INTENSIVE? NO, CAOS NEI PRONTO SOCCORSO

In realtà l’agenzia di stampa Ansa non ha riportato quel dato “per fare notizia”. Ha citato il dato riportato dallo studio, esattamente come abbiamo fatto noi nel nostro approfondimento. Un dato chiaro, che riguarda la saturazione della capacità aggiuntiva. Si può discutere, quindi, dell’utilità di una rilevazione di questo tipo, non essendo un dato relativo alla saturazione dei posti, che peraltro non è preoccupante. Ciò che invece è preoccupante è il fatto che i pronto soccorso italiani vengano “presi d’assalto da persone asintomatiche o paucisintomatiche che cercano una risposta che la medicina territoriale non gli sta dando”. A parlare in questi termini è Salvatore Manca, presidente di Simeu, la società italiana della medicina di emergenza-urgenza. Ne ha parlato all’Agi, evidenziando le ragioni di questo fenomeno. Da una parte i ritardi nell’effettuazione dei tamponi e la scarsa disponibilità dei medici di base, dall’altra l’introduzione dei test rapidi da parte dei pronto soccorso, diventati “l’unico punto di riferimento”.



La soluzione è nella medicina del territorio, tema peraltro non nuovo. Lo si porta avanti dalla Fase 1, evidentemente senza miglioramenti. “Parliamo di almeno un 30% di pazienti asintomatici e paucisintomatici che potrebbe essere gestita in modo diverso dalle Asl, dai medici di base e dalle Unità speciali di continuità assistenziale che svolgono attività domiciliari per i pazienti Covid-19”, spiega il presidente di Simeu all’Agi. Il vero problema, dunque, non è nelle terapie intensive, ma nei pronto soccorso. “Ci ritroviamo coi livelli dell’inizio della pandemia”.

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