I ricoveri aumentano, anche in terapia intensiva. La situazione non è allarmante, ma le Regioni stanno lavorando per farsi trovare pronte nel caso in cui la situazione dovesse peggiorare. A che punto siamo? Stando a quanto riportato dal Sole 24 ore, solo tre Regioni sono pronte. Un po’ poco, considerando il fatto che di tempo ce n’è stato per organizzarsi. Al momento solo Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta sono in grado di affrontare la seconda ondata con una disponibilità di letti in terapia intensiva che supera i 14 posti per 100mila abitanti. Questa è la soglia di sicurezza stabilita dal Governo a maggio quando ha stanziato 1,3 miliardi col Dl Rilancio per potenziare questi reparti per i malati più gravi di Covid-19. Le altre Regioni invece sono indietro. Tra queste anche quelle più a rischio in questo momento. In particolare, è preoccupante la situazione in Campania: ci sono solo 7,3 letti per 100mila abitanti. A seguire Umbria (7,9) e Marche (8,3). Siamo a metà rispetto a Veneto (16,8), Valle d’Aosta (15,9) e Friuli (14,4).



TERAPIE INTENSIVE, “MANCANO SPECIALISTI”

La situazione è migliore in Lazio (12,7), Emilia-Romagna (11,5) e Toscana (11,1), invece la Lombardia è avanti in quanto per l’emergenza è riuscita ad aprire fino a 1.800 posti letto. Adesso conta 983 posti disponibili, quindi 9,8 per 100mila abitanti. Sono 120 in più rispetto alla situazione pre-Covid, ma il target è 1.446 posti. Al momento il 30% dei posti sono liberi, considerando anche malati non-Covid. Con il commissario straordinario all’emergenza coronavirus Domenico Arcuri si è lavorato a piani regionali per creare 3.553 posti aggiuntivi. Le Regioni finora hanno aggiunto 1.279 letti stabili, quindi la dote nazionale è di 6.458 posti. Ma le differenze regionali sono significative anche a causa dei ritardi accumulati. Solo 10 Regioni sfrutteranno la regia di Domenico Arcuri, le altre faranno da sole con delega. I ritardi ora mettono a rischio il Centro-Sud, perché la pressione sugli ospedali sta salendo, anche se siamo lontani dai numeri di fine marzo. Inoltre, va tenuto conto del fatto che letti e tecnologie non bastano. Servono gli specialisti. “Mancano 4mila anestesisti rianimatori”, ha dichiarato Alessandro Vergallo, segretario nazionale di Aaroi Emac, come riportato dal Fatto Quotidiano.



TERAPIE INTENSIVE, IL CASO REGIONE LAZIO

Si tratta di 4mila posti che mancano in posti nevralgici della trincea anti-Covid. Si aggiungono poi 3mila tra pneumologi, infettivologi, medici di emergenza urgenza e pediatri che servono nelle terapie sub-intensive. “È evidente che di fronte a una seconda ondata così non potremmo reggere”, l’allarme di Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao Assomed, sindacato dei medici dirigenti. Intanto il Fatto Quotidiano segnala uno strano caso avvenuto nella Regione Lazio: è emersa la differenza tra i pazienti ospitati nelle rianimazioni e quello comunicato ogni giorno dalle istituzioni. Se ne è discusso nella riunione del Comitato tecnico scientifico (Cts) di domenica. Qualcuno ha fatto notare che nel bollettino di sabato nella Regione Lazio risultavano occupati 59 posti in terapia intensiva, ma in realtà erano 133. “Sì, ci sono discrepanze. Non sono drammatiche, ma devono far riflettere. Stiamo cercando di capire a cosa sono dovute. Una delle ragioni è la tempistica della raccolta dati. Se una struttura è sovraccarica e riporta più tardi del dovuto, ecco che già il numero comunicato si discosta dalla realtà”, hanno spiegato dal Cts al Fatto Quotidiano.

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