La miniera è il lato “sporco” della decarbonizzazione. Per quanto sia scomodo riconoscerlo, la transizione sarà una transizione basata sui metalli. A solo titolo di esempio il 50-70% del valore delle batterie è costituito dal costo del litio.
Sono 34 i metalli fondamentali per l’uscita dai combustibili fossili di cui 17 considerati strategici come il rame, litio, cobalto, nichel necessari alla costruzione di tecnologie a basse emissioni di carbonio quali pannelli fotovoltaici, generatori delle turbine eoliche, batterie, elettrolizzatori per la produzione di idrogeno. La corsa all’approvvigionamento di queste risorse sta scatenando una vera guerra globale, creando nuovi equilibri geopolitici. Oltre all’estrazione, c’è il processo di raffinazione e trasformazione per usi finali. Su tutti emerge il dominio della Cina anche campione di energia green. Da anni Pechino sviluppa un’accorta strategia mineraria tra controllo di giacimenti anche in Paesi terzi soprattutto in Africa per effetto dell’estensione del raggio di influenza della Silk Road e consolidamento della posizione dominante nelle fasi downstream della lavorazione dei metalli e delle terre rare che poi è il centro nevralgico dove si riscontrano le strozzature.
Proprio nell’ottica di allentare la dipendenza dalla Cina, è stato approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti sulle materie prime critiche di interesse strategico al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni comunitarie contenute nel recente Critical Raw Materials Act. Per rendere l’Europa autonoma per l’approvvigionamento di materie prime e terre rare, il regolamento europeo pone come obiettivo entro il 2030 di estrarre nel Continente almeno 10% della domanda annuale di metalli critici, di coprire tramite riciclo 25% e di raffinare al suo interno 40% del fabbisogno.
Per stimolare la ripresa delle attività minerarie sulla Penisola, il provvedimento prevede l’abbreviazione dei tempi autorizzativi per la fase esplorativa e la riapertura di miniere (massimo 18 mesi), iter celeri anche per progetti di riciclo delle materie prime critiche, istituisce un fondo sovrano con dotazione un miliardo di euro per sostenere progetti specifici e la creazione di campioni nazionali e predispone l’aggiornamento della Carta Mineraria, a cura dell’Ispra, che risale agli anni ’70.
Da quanto si viene a sapere, sembra che l’Italia non sia poi messa troppo male dal punto di vista di giacimenti di metalli critici. Chiediamo conferma all’ingegnere minerario Giovanni Brussato che ha appena pubblicato un documentatissimo saggio “Cina la nuova egemonia. La guerra dei metalli rari” (Guerini e Associati, 2024) nel quale analizza la capacità sia tecnica che finanziaria dell’industria mineraria globale di garantire lo smisurato approvvigionamento di metalli diventati essenziali e irrinunciabili per il Green Deal. Per raggiungere la neutralità carbonica la domanda di metalli verdi dovrà sestuplicarsi entro il 2040, secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea).
Emerge che l’Italia avrebbe una discreta disponibilità di giacimenti di metalli critici. Cobalto in Piemonte, titanio in Liguria, litio nel Lazio e in Toscana, barite in Sardegna, rame in Lombardia… Disponibilità non significa necessariamente condizioni di estraibilità competitive. Qual è il suo giudizio sulle risorse nazionali?
La situazione è diversa nei vari casi. Il litio verrebbe estratto dai sistemi geotermici presenti nella porzione meridionale del campo geotermico della Toscana Meridionale e del Lazio Settentrionale dove, nel tempo, sono stati perforati più di 800 pozzi per ricerca e produzione di energia geotermica. Le due compagnie minerarie interessate, Altamin e Vulcan Energy Resources, utilizzerebbero la tecnologia Direct Lithium Extraction, Dle, la cui impronta ambientale sarebbe significativamente ridotta rispetto al processo tradizionale e soprattutto poco impattante dal punto di vista ambientale. Tuttavia, non si hanno ancora dati certi sull’effettiva applicabilità sul campo, si tratta di tecnologie di estrazione che sono in una fase di prototipo che deve ancora superare i test a lungo termine. Il deposito di nichel e cobalto nell’area di Gorno in Piemonte (in realtà una vecchia miniera oggi chiusa) ha tenori interessanti, ma un cubaggio limitato. Inoltre, il complesso minerario di Punta Corna si trova in altitudine tra i 2.400 e i 2.600 metri: l’accesso con le attrezzature pesanti richiederà interventi significativi che sommati alla durata della stagione operativa potrebbero rendere economicamente insostenibile la coltivazione del giacimento. Un deposito realmente interessante è quello di titanio in Liguria, ma la sua posizione nel Geoparco del Beigua ne impedisce la coltivazione per l’opposizione della popolazione locale che dimentica che i depositi minerali sono fenomeni geologici unici.
È possibile ricostruire, in meno di un decennio, un settore in cui si è disinvestito da tempo?
Francamente dopo aver chiuso circa 25 anni fa il corso di studi in ingegneria mineraria e la specializzazione della figura professionale del Perito minerario, oggi ci troviamo a dover ricostruire un bacino di competenze, anche nel settore pubblico che dovrebbe svolgere ruoli di significativa importanza come quelli di Polizia mineraria. Se basteranno 10 anni? Dipenderà molto dalla determinazione con cui queste decisioni verranno perseguite. Aspetto più complesso è la costruzione delle competenze nella fase di downstream dove in tutta Europa siamo carenti: è opportuno rendersi conto che molto probabilmente vedremo il minerale arricchito localmente venire spedito in altri Paesi per completare il suo processo di raffinazione.
Il decreto ha aggiornato i meccanismi di remunerazione economica per lo Stato a carico dei concessionari di attività mineraria. Si applicano delle royalties in percentuale (5-7%) del valore della trasformazione del prodotto che andranno ad alimentare il Fondo nazionale del made in Italy. È una formulazione più equa? O rischia di diventare disincentivante? E qualche forma di risarcimento per le popolazioni locali?
Nella bozza del decreto che ho letto trovo: “Le somme versate in favore della Regione confluiscono in un Fondo istituito presso il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, finalizzato a riconoscere misure compensative in favore delle comunità e dei territori locali”. Quindi, è previsto un fondo per il risarcimento delle popolazioni locali: è importante che dia servizi effettivamente misurabili e trasparenti perché è una delle chiavi per ottenere l’accettazione dell’estrazione mineraria. Temo piuttosto che, a causa delle dinamiche dei prezzi globali, si veda quanto accaduto recentemente per il caso del nichel, siano le compagnie minerarie a dover ricorrere a sovvenzioni e aiuti statali per continuare la produzione o semplicemente non porre in cura e manutenzione la miniera. Non dimentichiamo che queste aziende competeranno con i produttori cinesi che operano in un universo parallelo di sostegno statale. La discriminante sarà se gli utenti finali saranno disposti a pagare il maggior costo di un metallo “più” verde.
Nel decreto c’è un focus sulla governance dell’intera filiera con la costituzione di un apposito Registro delle aziende. L’intento della misura è sottolineare la loro rilevanza per la sicurezza nazionale?
Sempre più assistiamo a livello globale, recenti casi si sono verificati in Canada e Australia, all’intervento di controllo e supervisione governativo per decidere sulla composizione della proprietà del pacchetto azionario di aziende di questo tipo. Qualche settimana fa il Governo australiano ha bloccato l’aumento degli investimenti del maggiore azionista, il fondo cinese Yuxiao, del produttore di terre rare pesanti, Northern Minerals Ltd, per motivi di interesse nazionale. Consideriamo che questi metalli, altre al settore dell’energia, rivestono un ruolo centrale nel settore digitale e soprattutto della difesa.
L’attività estrattiva è considerata molto impattante dagli ambientalisti e poco gradita dai territori. È mai possibile mitigare l’ineluttabile fenomeno Nimby?
È necessario che nel dibattito pubblico venga rimesso al centro il concetto che minerali e metalli sono gli elementi costitutivi di tutto: dalle infrastrutture all’assistenza sanitaria, dalla difesa nazionale alle reti energetiche e digitali. Sono ciò che ha permesso all’Italia di diventare quello che è. A rendere l’Italia un luogo ostile alle nuove miniere sono state, poi, le nostre scelte ambientali. Certo l’industria estrattiva è stata sia immensamente benefica che immensamente distruttiva, ma è qui che dobbiamo tornare se vogliamo comprendere fino in fondo le implicazioni del nostro appetito per i metalli, dalle auto elettriche alle tecnologie eoliche e fotovoltaiche ai computer, alle batterie. Un appetito che rimane immutato per i cittadini italiani che, spalleggiati proprio da quelle stesse associazioni ambientaliste che pretendono una transizione verde accelerata, si oppongono fermamente a qualsiasi ipotesi che preveda l’apertura di una miniera “nel proprio giardino”, scordandosi come sono entrati nell’era dell’elettricità, nell’era delle luci domestiche, dei telefoni e degli elettrodomestici, dei motori e dei generatori.
La miniera sostenibile è una finzione o un traguardo realizzabile anche economicamente?
Per quanto ci si affanni a decantare le nuove “miniere sostenibili”, a declamare che l’estrazione mineraria e la protezione dell’ambiente non sono antitetici, che possiamo essere a favore dell’estrazione mineraria e allo stesso tempo dell’ambiente, gli attuali requisiti di protezione ambientale per salvaguardare tutti gli aspetti dell’ambiente, comprese le risorse idriche, la fauna selvatica, la qualità dell’aria, le risorse culturali, il suolo, la vegetazione e le risorse visive rendono in molti casi, di fatto, irrealizzabili questi progetti. Coprire e rinverdire la roccia di scarto e gli sterili è solo una parte del problema, prevedere interventi per mettere in sicurezza i bacini di sterili o evitare che si inneschi il drenaggio acido metallifero sono spesso manutenzioni che entrano in quella categoria definita di “cure perpetue” che inevitabilmente il tempo porta a gestire con sempre minor rigore fino a creare gli incidenti più o meno gravi che hanno costellato la storia dell’attività estrattiva. I costi di queste cure, in particolari condizioni di mercato, rendono proibitivo il ripristino di grandi miniere a cielo aperto che, quindi, semplicemente, rimangono nello stato in cui sono. Nella maggior parte dei distretti minerari, in tutto il mondo, l’acqua è contaminata ovunque, e dove non ci sono discariche vicino a corpi idrici ci sono le aree con le fonderie, poi c’è la pioggia e, quindi, il deflusso contaminato, che alla fine si snoda verso i corsi d’acqua esistenti. La falda acquifera situata al di sotto della falda alluvionale può essere inquinata da livelli elevati di arsenico, piombo, cadmio e altri metalli pesanti e non è né semplice, né economico analizzare la migrazione delle acque sotterranee attraverso il substrato roccioso e tanto meno, eventualmente, purificarle. Bisogna pertanto accettare il concetto di bonifica ambientale che presume che pulito non significhi sempre bello e che bello non è sempre attraente: è necessario accettare che una buona parte dei rifiuti non sarà bonificata, ma solo resa inoffensiva.
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