La Cina mette sotto controllo statale le terre rare, di cui è leader incontrastata. Una misura che rappresenta un messaggio minaccioso all’Europa, bisognosa di metalli ormai indispensabili per la produzione in moltissimi settori, e che risponde alla decisione dell’UE di imporre dazi sulle auto elettriche cinesi. Una “guerra” a livello economico che, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, passo dopo passo rischia di portare il mondo a un progressivo impoverimento, se non sulla strada di un conflitto vero e proprio.



L’alternativa, per l’Occidente, è sfruttare i suoi giacimenti, presenti anche in Europa, e riciclare le materie prime derivanti dalle terre rare. Con una controindicazione: l’estrazione è un processo molto inquinante. Un accordo globale, che comprenda le esigenze di tutti, sarebbe auspicabile, ma non c’è nessuno che abbia la forza necessaria per garantirlo: USA, UE e la stessa Cina stanno vivendo un momento di grande debolezza.



In Cina è entrata in vigore la nuova legge che impone il controllo statale sulle terre rare. Cosa comporta?

La Cina controlla il 70% delle terre rare del pianeta, ma solo il 30% del minerale è posseduto dai cinesi. Il resto dipende da accordi con le miniere argentine, cilene e altre. Possiedono le aziende che trasformano le terre rare in materiali utili per l’elettronica e non solo. Pechino ha posto sotto controllo queste imprese.

Molti leggono il provvedimento come un avvertimento all’Europa sulla questione dei dazi sulle auto elettriche. È questo il senso?

Ciascuno si sta posizionando, con le armi che ha a disposizione, in un “tit for tat”, un meccanismo di azione e reazione che rischia di portarci in una situazione poco gradevole a livello mondiale. Gli USA hanno i loro piani, l’Europa sta discutendo sull’automotive e non solo, e la Cina reagisce. Ha mandato un primo segnale nel settore lattiero-caseario con una mossa simbolica; ora lancia il tema delle terre rare, che è molto significativo. Nel contempo, l’Europa deve attrezzarsi per il riciclo delle terre rare. In questo momento, il mondo occidentale sta facendo grossi investimenti per capire come si possa riciclare il litio. Sono tutte azioni di posizionamento per cercare di trovare spiragli che portino a un accordo: in questo caso, alla Cina interessa un’intesa sull’automotive.



Siamo ancora alle schermaglie o c’è una guerra già dichiarata?

Siamo alle schermaglie. Le decisioni sull’automotive, ad esempio, devono ancora transitare dal Parlamento europeo: ci sono ancora una serie di passaggi che devono essere fatti.

Quanto dipendiamo effettivamente dai cinesi in relazione alle terre rare? E quali settori sono a rischio?

Siamo legati mani e piedi. Le terre rare sono presenti in qualsiasi prodotto che abbia un chip. Giocano un ruolo fondamentale nell’elettronica, in tutte le tecnologie del fotovoltaico e nelle tecnologie ambientali. Ormai anche i vestiti, nel momento in cui hanno un chip per l’RFID (l’etichetta che raccoglie i dati del capo di abbigliamento, nda), contengono terre rare.

Quindi siamo obbligati a scendere a patti con Pechino su questo punto?

Non è che dobbiamo scendere a patti. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha detto che vuole riattivare tutta una serie di giacimenti in Italia. Le terre rare ci sono, anche se è molto inquinante estrarle. L’Europa ha risorse che può utilizzare, ma deve essere disponibile a inquinare. Poi deve andare verso pratiche di riciclo: l’Economist, settimana scorsa, riportava che il 70% del litio nelle batterie può essere recuperato.

Insomma, dovremmo inquinare per estrarre terre rare che servono per sviluppare tecnologie verdi.

Purtroppo nulla si crea dal nulla. Per consumare energia dobbiamo produrla. Questa è anche la grande mistificazione del motore elettrico. Non è vero che inquina meno del motore endotermico: inquina meno in fase d’uso, ma la produzione di una batteria è più inquinante. Lungo il ciclo di vita, alle condizioni attuali, un’auto elettrica inquina più di un’auto endotermica. Si deve passare all’elettrico solo perché non emette anidride carbonica, su cui l’UE ha imposto tasse.

Siamo alla fase delle schermaglie, ma che scenario possiamo prospettare? Si arriverà a un accordo che metta insieme le esigenze di tutti?

Queste misure di azione e reazione progressivamente impoveriscono il pianeta e chiudono i sistemi: portano poco di buono. La storia ci insegna che, quando facciamo così, andiamo incontro alla guerra. Credo che, se avremo persone anche solo in minima parte sagge, qualche forma di accordo dovranno trovarla. Ancora oggi c’è la consapevolezza, in un certo nucleo di politici, che sia conveniente arrivare fino a un certo punto. È evidente, comunque, che più si va avanti e più diventa difficile fermarsi. Manca un kingmaker.

Non c’è nessuno che possa prendere in mano la situazione?

Sono tutti deboli: lo sono gli USA, lo è la Cina, l’Europa non esiste più, l’India è un’eterna promessa. Non c’è nessuno che possa intestarsi una qualche forma di coordinamento. Per definizione dovrebbe venire da Paesi democratici, ma sia l’Europa sia gli Stati Uniti sono in una situazione di quasi minimo storico.

Sono queste le criticità del momento?

C’è una somma di debolezze che crea entropia, ma siamo anche in una fase della storia in cui i privati diventano più potenti degli Stati. È più forte Biden o Elon Musk? Biden o Google? Siamo in una situazione di duplice criticità: la prima riguarda la debolezza degli Stati, la seconda è relativa al fatto che ormai i privati realizzano servizi e infrastrutture al posto degli Stati. Si innesca un duplice conflitto che mette il mondo pubblico a confronto con quello privato che eroga servizi pubblici…

(Paolo Rossetti)

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