Un boato. Quel rumore infernale che gli abitanti delle regioni dell’Italia centrale ormai conoscono bene. Quel rumore che significa che dopo neanche un battito di ciglia arriva la scossa di terremoto. Ieri erano passate da poco le tre del pomeriggio quando una scossa di magnitudo 3.5 con epicentro a Cittareale (Rieti) e profondità di 12 chilometri ha ricordato a tutti che la faglia è ancora viva. Un boato che è stato più concreto delle tante celebrazioni dei giorni scorsi, a tre anni da quella tragedia che ha devastato centinaia di paesi tra Umbria, Abruzzo, Marche e Lazio.



Tra i comuni più vicini all’epicentro anche Accumoli e Cascia, ma poche decine di chilometri separavano l’epicentro dall’Aquila e la scossa è stata avvertita chiaramente anche ad Amatrice e in centri più lontani come Teramo.

Alle ore 15.20 è stata registrata una seconda scossa, sempre nella stessa area, ma con una magnitudo di 2.4. Altre due scosse sempre nella giornata di ieri sono state invece registrate a Norcia, in provincia di Perugia. La prima scossa è stata di magnitudo 2.8 e la seconda di 2.2. Per ora non si sono registrati né danni né feriti. Lo spavento è stato comunque tanto, soprattutto a causa dei ricordi e della paura di un passato ancora troppo vivo nelle menti dei cittadini di quelle zone.



Uno sciame sismico che incute timore, che invoglia ancora una volta a fuggire via, a cambiare vita, a cercare riparo in luoghi lontani, più sicuri. Un dramma per quei paesi che vorrebbero la ricostruzione, che si vedono oppressi e bloccati dalla burocrazia a cui neanche la politica riesce a mettere riparo. Un dramma, perché tanta gente di montagna forte e volenterosa si sta arrendendo. Se tutto ciò si avverasse sarebbe la fine di una parte importante dell’Italia.

Proprio ieri il Commissario straordinario per la ricostruzione post sisma 2016, Piero Farabollini, ha assegnato le 200 unità di personale previsto dal decreto Sblocca cantieri: 30 andranno all’Abruzzo, 27 all’Umbria e 27 al Lazio, e 116 alle Marche. Una del personale destinato alla ricostruzione che innesta linfa vitale nei processi istruttori e rappresenta un’ulteriore occasione per ribadire che la ricostruzione non prescinde dalla condivisione di intenti e risorse nel comune sforzo di dare risposte ai territori.



Finalmente, dice la gente che ancora sta aspettando il disbrigo delle pratiche relative alle case lesionate o distrutte dal terremoto, dopo 3 anni. Ma si dovrà aspettare ancora almeno due o tre mesi perché i procedimenti per l’assunzione del personale vengano espletate, poi lo stesso personale dovrà capire come funzionano gli uffici, comprendere le procedure e cominciare a lavorare. E intanto il tempo passa, inesorabile.

In mezzo a tutto ciò non si deve neanche trascurare la crisi di Governo. Tanto lontana quanto vicina nelle ripercussioni. Il premier Conte ai presidenti di Regione aveva promesso nuove leggi e ulteriore personale perché quello di ieri non è comunque sufficiente. Adesso tutto rimane in sospeso, senza certezze, senza chiarezza, senza determinazione.

Ecco perché in tanti pensano di fuggire. Molti cercano di vendere le proprie abitazioni, con tanto di pratica per la messa in sicurezza e la ricostruzione annessa. Ci saranno paesi e frazioni che non verranno ricostruiti, dove qualche rudere e alcune macerie diventeranno testimonianza di un passato che non esiste più. Tra poco ricomincerà la scuola e in tanti paesi le scuole non sono state ricostruite. Quei pochi bambini rimasti continueranno a studiare in strutture improvvisate, provvisorie; tanti altri studenti continueranno altrove le lezioni, perché ormai i loro genitori li hanno estirpati dalla terra dove sono nati e dove stavano crescendo.

Nel frattempo si continua la vita di tutti i giorni, con la paura che da un momento all’altro il boato torni più forte che mai.