C’è una sola domanda che tutti si fanno e che nessuno si permette di ripetere ad alta voce, perché ognuno pensa che non sia “politicamente” corretta. Ma la questione se la pongono tutti: che ci fanno oltre 200mila persone – in quell’ampio comprensorio che va da Pozzuoli a Bacoli, a Monte di Procida – con una sacca di magma sotto il culo? È proprio necessario prendere casa, mandare i propri figli a scuola, cercarsi un lavoro, insomma tutte le cose normali che fanno gli umani, proprio lì? In un angolo del nostro territorio che sale e scende di alcuni metri ogni dozzina di anni?
Chi conosce Pozzuoli e gli abitanti dei Campi Flegrei sa che c’è qualcosa di metafisico che unisce le persone e la natura al magma sottostante. I fiori e i frutti anticipano di circa 30-40 giorni i tempi della loro maturazione, la vegetazione lussureggiante è da paradiso terrestre, gli abitanti, belli e solari, hanno però un carattere levantino che li rende alternativamente irritabili e simpatici, allegri e sconsolati, come se l’energia vulcanica che arriva sotto i loro piedi influisse in qualche modo. Per non parlare della cadenza del loro dialetto, tondo e baritonale, che nulla ha a che vedere con quello napoletano. Visitando quell’angolo della Campania ci si innamora subito, e spesso si pensa che sia un posto perfetto dove andare a vivere.
Ecco, ma poi ci si dimentica che, con un ciclo più o meno di 12 anni, la terra si muove. In alto o in basso, poco cambia. Le scosse sono prima leggere, poi sempre più frequenti e percettibili. Poi le cose degenerano. Le case incominciano a scricchiolare e a segnarsi. La notte non si dorme più, il magma si risveglia come un mostro di cui si era sentito parlare solo nelle leggende. La verità è che sono più di duemila anni che gli umani giocano con il bradisismo.
Furono i romani a costruire il tempio di Serapide proprio sul porto, che è ancora lì. E che si immerge e riemerge a seconda che la terra si alzi o si abbassi. È il termometro che il magma si sta risvegliando. Poi i puteolani hanno cominciato a costruire case sempre più vicine e sempre più in alto. Le due crisi più forti sono del secolo scorso: nel 1971 e nel 1983. Nel primo caso gli abitanti scapparono in una notte dal Rione Terra, il vecchio insediamento romano che aveva resistito per secoli, arroccato sul promontorio che domina il porto. Il rione fu chiuso, letteralmente, e rimase interdetto alle persone fino a pochi mesi fa, quando dopo una lunga opera di ristrutturazione è stato riconsegnato al Comune. I 50 e passa anni trascorsi da allora non sono stati sufficienti a stabilire cosa farsene. Nessuno ha preso l’iniziativa, salvo ovviamente la magistratura con una nuova inchiesta sugli amministratori locali.
I cittadini sfollati dal Rione Terra trovarono in pochi anni alloggi nuovi di zecca nel Rione Toiano ad Arco Felice, a pochi chilometri di distanza, in una piana che è sembrata così sicura da costruirci pure l’ospedale e la nuova casa comunale. Per quelle costruzioni fu usato tanto cemento che quel quartiere è stato soprannominato “i carrarmati”, ma almeno è sicuro.
Quando il bradisismo è tornato nell’83 le case che si erano svuotate nel ’71 – a parte il Rione Terra, ormai chiuso – erano state ripopolate e quindi nuovi senzatetto affollarono le strade. Dopo qualche anno trascorso nelle case di villeggiatura del litorale domizio, e mentre erano in azione i commissari del terremoto dell’80 in Campania e Basilicata (è bene ricordare che i due terremoti non hanno mai avuto nulla in comune), venivano realizzati 20mila nuovi vani a Monterusciello, qualche chilometro in linea d’aria dal Rione Toiano. Qui il cemento armato fu sostituito dal prefabbricato leggero. Con la conseguenza che oggi quelle case sono fatiscenti, andrebbero abbattute e ricostruite.
Ma il punto rimane sempre lo stesso. Le case abbandonate perché pericolanti vennero ristrutturate ma non abbattute, i proprietari si opposero con ogni mezzo, lo “sfoltimento” degli immobili richiesto a gran voce dai vulcanologi divenne allora una pia illusione, le regole furono aggirate grazie al fiorente clientelismo politico locale. Una volta ristrutturate, le case diventarono per il ceto medio in fuga da Napoli un’occasione ghiotta: arrivarono nuovi cittadini più ricchi dei precedenti, felici di poter vivere lì, vicino al mare, al sole, a pochi passi dalla movida. Così sommando Arco Felice, Monterusciello, Via Napoli, Pozzuoli è diventata un conglomerato urbano da quasi 100mila abitanti: uno scempio, quando tutti sapevano che occorreva ridurre al minimo sindacabile la presenza dei nuovi arrivi.
Pozzuoli è una cittadina che ha fatto passi da gigante in questi anni. Porta principale di accesso alle isole di Ischia e di Procida, è stata investita prima di Napoli dall’onda del turismo di massa, aiutati da una rapida deindustrializzazione (Sofer, Pirelli, Olivetti). Le grandi fabbriche hanno lasciato il posto ad un progetto mega-galattico di sviluppo turistico promosso da un grande imprenditore locale, che come prima cosa ha piazzato i propri figli in quasi tutto lo schieramento politico locale e nazionale.
Ma ora con la ripresa del bradisismo l’incantesimo sembra svanire. I turisti hanno paura di venire a Pozzuoli, gli investitori internazionali rivedono le loro stime sui profitti faraonici, la politica locale è tornata a dilaniarsi senza sosta. La domanda iniziale è rimasta ancora senza risposta. Come riescono centinaia di migliaia di persone a convivere con il terremoto? Semplice, dimenticano presto.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI