Terremoto. Una parola usata tanto, che ho usato tanto. Forse abusato. Ma il terremoto nel Centro Italia, in Abruzzo, da dieci anni fa parte della vita quotidiana. Il moto della terra, esplorabile ma imprevedibile. Terremoto che mette fine a qualsiasi certezza terrena. E di terremoto in questi giorni ha parlato il cardinale Giuseppe Petrocchi al suo popolo aquilano.
Ma il porporato non ha descritto macerie, crolli e paura. “C’è un terremoto fuori, quello che si abbatte sulle case e sulle cose – ha sottolineato il cardinale aquilano –, ma c’è anche un terremoto dentro, che colpisce la mente e il cuore, e che ferisce gli affetti. Bisogna ricostruire non solo la città dal punto di vista urbanistico, ma anche la comunità. È un evento non semplice da percepire, si fa fatica a intercettarlo, anche da parte di chi lo porta nella propria anima. Occorre dunque impegnarsi per fare in modo che il trauma terribile che c’è stato non diventi un fattore destabilizzante, ma diventi un’occasione per crescere, per acquisire una maturità, più larga dal punto di vista spirituale e umano. Occorre diventare portatori di un messaggio di vita, nei confronti di coloro che hanno vissuto esperienze similari”.
Portatori di messaggi di vita in occasione del Natale, di quel periodo in cui molti riscoprono una cristianità opacizzata. Più il terremoto non ha potuto nel far riflettere sul destino di ciascuno che è il Natale. Ecco allora le parole di Petrocchi sul terremoto dell’anima. “Natale significa accorgersi che non siamo soli, non siamo messi soltanto nelle nostre mani, ma siamo punto d’arrivo di un amore che parte da Dio, che è il nostro padre e ci dà tutto ciò di cui abbiamo bisogno per essere persone serene. Il che non vuol dire essere senza difficoltà, ma essere capaci di gestire bene i problemi, e di tramutarli in risorse”.
Le parole del cardinale fanno volgere lo sguardo attorno. Si cammina la sera per L’Aquila e accanto a strade e vicoli ancora persi nel buio, con cantieri fermi per le festività, si torna a respirare un’aria di festa. Si ricostruiscono le case, rimangono le ferite dentro, a cui le risposte provengono dalla volontà di guardare oltre.
Il regalo di Natale, quello atteso dai tanti cittadini che hanno voglia dopo tanto tempo di tornare a vivere nelle proprie abitazioni doveva arrivare dal Governo. Ma l’ultimo decreto sul sisma del Centro Italia assomiglia più a pochi tozzi di carbone che a quanto sperato. Poco personale negli uffici, che nella pratica quotidiana corrisponde a lentezza nel disbrigo delle pratiche a causa della mancanza di impiegati. Tante aspettative rimaste deluse che non aiutano a superare il terremoto dell’anima. Ad Accumoli, cuore del terremoto del 2016, sono due frati francescani a tenere alto il morale di chi, soprattutto anziani, è finito a vivere nelle casette di emergenza. “Credo nella condivisione, con cui si possono affrontare situazioni di disagio. Vivere insieme come punto di forza, incoraggiarci, non sentirsi soli: le difficoltà vengono e vanno, ma noi rimaniamo”, ha raccontato fra Carmelo al sito internet francescano. Ma i giovani sono fuggiti, consapevoli di un futuro troppo lontano e di un quotidiano che impone loro di costruire la propria vita, di trovare lavoro, di formare una famiglia. Il grande rischio, ogni giorno più concreto, è che le aree interne del centro Italia diventeranno spopolate, vuote, abbandonate.
Rimangono le mille occasioni per girare in queste regioni e scoprire la bellezza che in questi giorni di festa spesso viene messa sotto i riflettori. Perché è Natale, e la bellezza può aprire nuovi spiragli nel cuore di ciascuno.