Il terremoto ha fatto sentire il suo rombo in Croazia. Morti e rovine a poche decine di chilometri da casa nostra. Il tremito è stato avvertito in tutto il Nord-Est. Poche ore dopo alcune scosse meno intense hanno spaventato Verona e dintorni. Due settimane fa per la prima volta dopo cinquecento anni lo stesso fenomeno ha interessato Milano, l’epicentro a un passo (anche qui, per fortuna, come in Veneto senza feriti né danni). Gli scienziati hanno spiegato questi accadimenti con la pressione della piattaforma africana che si muove verso Nord. Qualcosa di molto simbolico, a quanto pare, che ricorda ciò che accade alla superficie della crosta terrestre.
Mi permetto alcune osservazioni. Innanzitutto guardando non le reazioni in generale, ma le mie (salvo scoprire che sono coincidenti con quelle generali, accidenti). Esse rivelano come siamo impastati di tante cose.
Quando il trillino del cellulare mi ha annunciato: “Forte terremoto in Croazia, superiore al sesto grado Richter, avvertito anche in Veneto”, ho quasi sospirato: finalmente, un buon vecchio terremoto. Mi sono sorpreso per la mia stupidità. E dopo dieci secondi mi sono immaginato i bambini da tirar fuori dalle macerie, e mi sono vergognato. Ed è risorta in me la consapevolezza del dolore dei miei fratelli e sorelle uomini come appartenenti alla mia carne. Ho deciso che darò una mano. Io credo che questo ondeggiamento (prima l’istinto superficiale, poi la memoria dei volti, dunque la ragione) mi accomuni a tanti tra voi che mi leggete.
Da sempre il sisma suscita – anche solo a pronunciarne il nome – una paura ancestrale. E però quando c’è, colpisce un territorio, e basta. Se si ripete, con i famosi sciami sismici, resta sempre circoscritto. Invece il Covid dovunque spunti, con una diversa variante, ci aspettiamo che prenda immediatamente l’aereo e arrivi da noi. Un attimo dopo aver provato quella specie di meschino sollievo per la notizia di un terremoto che ci ha risparmiati, un minuto dopo lo scontento di me stesso per quel sentimento egoistico, tre minuti dopo il desiderio di solidarietà, sono qui con voi a considerare che razza di stupida pretesa abbia manifestato la post-modernità. Essa ha sì dichiarato la morte delle ideologie, con la loro pretesa di dirigere il cammino della storia verso la salvezza, ma si è risolta nell’adorazione della scienza attribuendole una potestà salvifica. Una povera salvezza: ridotta a far durare infinitamente il vuoto, possibilmente senza dolore.
Be’, quest’anno il Covid (la cui origine resta un enigma) ha distrutto non la scienza come corpo del sapere, frutto del desiderio umano di conoscere incarnato dall’Ulisse dantesco, ma la ridicola pretesa dello scientismo e dei suoi seguaci di sostituirsi a Dio, buttando via l’unica vera conoscenza, la sola base del sapere, che è il riconoscimento di non esserci dati l’esistenza e quella strana cosa che è il cuore da soli.
Non è un discorso consolatorio, ma realistico. Non si tratta allora di chiudersi fatalisticamente ad aspettare oltre al Covid pure il terremoto, puntando su qualche piattaforma di scommesse on line chi tra le due disgrazie ci ammazzerà; e neppure retoricamente di fare appello alla volontà di ricominciare, quasi trattenendo il fiato in un’apnea che distolga dai pensieri sul nostro destino mortale; ma accorgendosi di qualcosa che il cristianesimo si ostina a dire, che Dio fatto uomo è nato e conosce la verità e ci conduce verso la bellezza.
Mi ha molto colpito, e mi tormenta, un tweet che il cardinale Angelo Scola ha postato domenica scorsa con queste parole di Giovanni Testori: “Credo che il mondo e soprattutto i cristiani hanno la responsabilità e il destino, che è la sola speranza, di tentare di essere contemporaneamente insurrezionali e resurrezionali”. Io con gente così ci sto. Se c’è bisogno in Croazia per il sisma, o sotto casa per la mensa dei nuovi poveri, se uno così mi chiama, mi metto in lista.