Le strade sono state liberate e i soccorsi stanno cercando di raggiungere anche i villaggi più sperduti. La priorità ora in Marocco, dopo il terremoto, è trovare tende per dare sistemazione a tutte le famiglie, molte delle quali attualmente sono costrette a condividere lo stesso spazio con altri nuclei. Tra le preoccupazioni maggiori, spiega Fabrizio Cavalletti, referente di Caritas italiana per il Nordafrica, c’è quella di approntare sistemazioni adeguate in vista dell’arrivo del freddo. Servono sistemi di riscaldamento delle tende, anche se si sta cercando di spostare le persone dai villaggi di montagna alle città per dare loro almeno un alloggio temporaneo.



Come è la situazione in questi giorni in Marocco: i soccorsi si sono organizzati meglio?

L’organizzazione dei soccorsi sta migliorando. Dopo i primissimi giorni di difficoltà estrema, a causa anche dei crolli sulle strade e del conseguente blocco delle vie di accesso, soprattutto nei villaggi di montagna, la macchina dei soccorsi si è messa in moto: le strade sono state quasi tutte liberate, i villaggi sono stati raggiunti dai soccorsi, sono stati installati ospedali da campo anche nelle zone di montagna per consentire un’assistenza sanitaria il più vicino possibile ai bisogni delle persone.



All’inizio c’erano diverse lamentele sul fatto che i soccorsi non fossero ancora arrivati in certe zone; adesso, invece, si agisce in modo più capillare?

Lo scenario sta cambiando in maniera significativa. Sono arrivati gli aiuti dai Paesi autorizzati a fornirli e sono state montate le prime tendopoli, anche se le tende non sono ancora sufficienti. Ci sono famiglie che  devono condividere la tenda con altri nuclei familiari. Si stanno organizzando i primi spostamenti in alloggi, anche in altre parti del Paese. Comunque siamo ancora nella prima fase dei soccorsi, il bisogno maggiore è quello di cibo, acqua, vestiti e coperte. E medicinali, anche se per questo oggi ci sono pure gli ospedali da campo.



Dove si sono focalizzati i vostri interventi?

L’opera della Caritas si è focalizzata nella zona di Amizmiz e di Asni, che si trovano nella parte di territorio più vicina all’epicentro. E da lì si stanno visitando i paesi di montagna di quell’area facendo l’analisi dei bisogni, per cercare di fornire assistenza alle persone in maniera sussidiaria a quanto stanno già facendo le strutture pubbliche. Sono stati portati anche gruppi elettrogeni per fornire l’energia elettrica ai villaggi. Si è mobilitata la rete Caritas internazionale, compresa Caritas italiana. Sono in partenza due esperti, uno inglese e uno spagnolo, per sostenere Caritas Rabat. In prospettiva si è già capito che bisognerà accompagnare queste comunità nel tempo perché erano già povere prima del terremoto. Sono state colpite soprattutto persone che vivevano nei villaggi rurali, di montagna, che si dedicavano all’agricoltura, all’allevamento, alle piccole attività commerciali, che si ritrovano ad aver perso tutto.

Il feedback che avete dai vostri operatori, quindi, è che principalmente siamo ancora nella fase in cui mancano cibo, acqua e tende per ripararsi?

L’assistenza con cibo, acqua e vestiti è in corso. Non c’è una situazione di zone che non sono ancora raggiunte da questo punto di vista. Per quanto riguarda le tende si è riusciti a mettere sotto una tenda almeno la gran parte delle persone sfollate, ma c’è una convivenza, una promiscuità che va risolta o tramite la fornitura di un maggior numero di tende o rafforzando i ricollocamenti e sistemazioni in alloggi temporanei.

Siamo a settembre ma molti villaggi colpiti si trovano anche in montagna. Si va verso il freddo e forse già tra poco la gente potrebbe aver bisogno di un aiuto anche da questo punto di vista. A quali soluzioni si sta pensando?

È la preoccupazione un po’ di tutti: riuscire ad arrivare attrezzati al momento in cui le temperature saranno più rigide, o con la fornitura di tende con riscaldatori adeguati o arrivando a sistemazioni diverse che non siano la tenda, magari in città. Le autorità marocchine ci stanno pensando.

Per queste popolazioni di montagna, già così duramente colpite, il passaggio in realtà completamente diverse come le città potrebbe essere un ulteriore trauma?

È un rischio che c’è. Per questo andranno pensati anche percorsi di accompagnamento: su questo come Caritas, nei limiti delle possibilità, dovremo lavorare. Bisogna aiutare queste famiglie a ritrovare i loro legami nelle comunità in cui si spostano, portando magari gruppi dello stesso paese nello stesso luogo di permanenza temporanea. Dipenderà molto anche da come vorranno gestire la situazione le autorità. Tendenzialmente cerchiamo di seguire le famiglie fornendo loro, dove ce n’è bisogno, anche sostegno psicologico. In altri contesti lo abbiamo fatto mobilitando anche risorse locali.

Al di là del futuro più o meno immediato delle persone le scosse continuano ancora?

C’è ancora uno sciame sismico, che si è affievolito ma durerà ancora un po’.

(Paolo Rossetti)

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