Mentre prendi il caffè, sembra che un gran pezzo di roccia abbia urtato il tuo condominio, avverti un boato e un movimento incontrollabile sotto le gambe, intorno a te cadono soprammobili e vasi di coccio. Qualcosa che pare non finire mai. Ci mettiamo sotto gli stipiti della porta principale.
Alla fine di tutto, si sente solo il battito del cuore. Il respiro è frenato, tutti i sensi sono all’erta preparandosi a ciò che potrebbe ancora venire. Dopo qualche minuto è un fuggi fuggi per le scale, i nostri amici del palazzo cominciano a uscire da casa, vanno fuori al freddo mattutino, nel cortile. Con coperte e giubbotti sopra il pigiama.
Mia figlia doveva partire per Bologna, per l’università, stamattina (ieri, ndr), ma tutto è bloccato. Telefoniamo ai nostri genitori per rassicurarli. Su alcune pareti di casa sono ben visibili lunghe crepe e i calcinacci per terra. Il presidente della regione Marche e i sindaci hanno subito diffuso l’ordine di chiudere tutte le scuole.
Immediatamente prendiamo i cellulari per sentire gli amici, per capire come stanno. Sembra tutti bene. Tutti fuori casa. Danni alle case, agli uffici, un palazzo regionale lesionato, soffitti caduti, ma nessun ferito. Ci chiamano quelle persone che neppure un mese fa hanno perso tutto nell’alluvione avvenuta qua vicino, a Senigallia. Quasi un destino che ci provoca e ci sveglia, noi delle Marche, non ci lascia tranquilli. Solo sei anni fa una scossa aveva fatto crollare tanti muri e tante speranze. Mia madre è ancora fuori casa, in un’abitazione procurataci dal comune di Cingoli, presso cari conoscenti, da quell’ultimo terribile terremoto. La sua casa è ancora oggi in ricostruzione. Ci saranno nuovi danni?
Un mistero che ci fa vedere le cose in un altro modo, immediatamente, senza spiegazioni, senza discorsi, subito. Tutto quello che sembra fondamentale in un attimo diventa accessorio, apparente. Quello che emerge è altro: la nostra fragilità, il nostro bisogno totale, la nostra condizione dipendente.
Per questo, di seguito a queste evidenze, viene fuori altro: tu che mi sei vicino, tu che mi abiti accanto, tu che lavori con me, non mi sei più estraneo. Fai parte di me. Sei vicino a me nel mio grido, nel mio aprire le braccia per chiedere aiuto.
Andiamo fuori casa, ci sono tutti nel cortiletto. Mi avvicino alla coppia di nonni, in pensione, che ci abita sopra la testa, nell’appartamento sopra. Lei ha una coperta sulle spalle, la sua voce tremante mi chiede se ho sentito il notiziario, se si prevedono altre scosse. Quella voce che vibra di paura mi fa nascere un moto di tenerezza. Le prendo la mano e le dico che no, non dovrebbero esserci altre scosse così forti.
Con mia moglie e le mie figlie, preghiamo l’angelus, per ringraziare di esser vivi, per chiedere aiuto, per aprirci gli occhi su quella nostra immensa domanda di vita che abbiamo visto, visto proprio, nei nostri cuori, stamattina.
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