Molta la paura che hanno vissuto l’altro giorni gli abitanti di una vasta zona dell’Italia centrale, da Macerata a Rimini, da Bologna al basso Veneto fino a Roma. Causa di tutto una scossa di terremoto molto forte di magnitudo 5.7, con epicentro nel mare davanti alla costa pesarese nelle Marche a una profondità di 8 chilometri. Danni leggeri si sono registrati ad alcune strutture edilizie, fortunatamente non ci sono stati feriti.
È una zona questa, ci ha detto Carlo Meletti, direttore della sezione di Pisa dell’INGV, “dove fenomeni di questo tipo si verificano spesso. Tutta la fascia adriatica che va dall’Emilia fino ad Ancona è costituita dal prosieguo della catena montuosa dell’Appenino che arriva sotto al mare. Si tratta di una struttura attiva che si allarga di continuo da secoli e continuerà a farlo, muovendosi verso i Balcani”.
Fra molti secoli il Mare Adriatico per via di questo movimento delle falde finirà per chiudersi, quando la costa italiana finirà contro la costa dei Balcani. Non c’è nulla da fare, perché l’intensità delle scosse, ci ha detto ancora Meletti, “è assolutamente imprevedibile, si può passare da quella dell’altro giorno che è stata di una magnitudine fra le più alte mai registrate, a scosse di cui si accorgono solo i sistemi specializzati di monitoraggio dei terremoti”.
L’epicentro del terremoto dell’altro giorno è stato individuato in mare aperto: cosa sta succedendo in quelle profondità?
I terremoti in mare sono assolutamente normali, avvengono a diversi chilometri di profondità, in questo caso a otto chilometri dalla superficie dentro la crosta terrestre. In quella zona in particolare sappiamo che sotto la superficie marina c’è la struttura attiva dell’Appennino, quella più avanzata, che ancora non è riuscita a creare dei rilievi. Ciò che sappiamo è che queste falde si stanno muovendo in direzione dei Balcani.
Quindi è una zona sempre in attività?
Sì, si tratta di movimenti piccoli uno o due millimetri all’anno ma che nei secoli diventano spostamenti importanti. È una zona che definiamo in compressione: c’è una accorciamento della crosta terrestre che si scontra con quella che chiamiamo placca adriatica.
Si può dire che si tratta della continuazione della catena degli Appennini sotto al mare?
Sì. Noi ovviamente degli Appennini vediamo la parte in superficie, le montagne e i rilievi, in realtà proseguono anche sotto al mare. Succede lo stesso nella Pianura Padana, dove al di sotto dei depositi del Po avvengono situazioni analoghe a quella che si è verificata nelle Marche: pensiamo al terremoto dell’Emilia nel 2012.
Il punto il cui c’è stato il sisma è l’unico del Mar Adriatico soggetto a questi movimenti?
No, è soggetta tutta la costa, a partire dall’Emilia, all’altezza di Ravenna, passando davanti a Rimini, dove nel 1916 ci furono due forti scosse a distanza di tre mesi di magnitudo analoga a questa e ci fu anche un’ondata di maremoto che colpì la città. Scendendo c’è la zona colpita da questo terremoto e a sud la zona del terremoto di circa 5.8 di magnitudo che nel 1930 colpì tra Senigallia e Ancona. Ad Ancona nel 1972 ci fu una sequenza molto lunga di scosse fra gennaio e giugno, furono centinaia e provocarono anche dei danni alla città.
Ma queste scosse avvengono solo davanti alla costa italiana o anche nei Balcani?
Ci sono scosse anche davanti alla costa dei Balcani. Il terremoto dell’altro giorno è stato avvertito in modo molto forte in Croazia. Hanno terremoti per strutture che sono speculari a quelle dell’Appennino.
Queste scosse significano che le falde sottomarine si stanno scontrando fra di loro o si stanno separando?
Si scontrano. È una convergenza tra falde degli Appennini che si scontrano con la placca adriatica. Il contrario dei terremoti che abbiamo visto ad Aquila e Amatrice, dove la crosta terrestre si sta aprendo. Un meccanismo opposto.
È stata definita una delle scosse più forti degli ultimi cento anni. Le scosse avvengono con magnitudo casuale o aumentando intensità una dopo l’altra?
No, non si può dire di che intensità possa essere la scossa successiva, non c’è un meccanismo di crescita. Dipende da quanto è grande la faglia che si rompe con il terremoto. Questa è stata di dieci chilometri, quella di Norcia del 2016 era di 40 chilometri. La dimensione determina quanta energia viene rilasciata e quindi la magnitudo.
Ci ha detto che Rimini nel 1916 venne colpita da una forte ondata. L’allerta tsunami rilasciata dopo la scossa dunque è stata giustificata?
Non era un’allerta tsunami. È stato detto che c’erano le condizioni per cui poteva verificarsi un maremoto. È qualcosa di automatico: in base alla magnitudo scatta l’allerta. Fortunatamente il maremoto non si è verificato.
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