Dodicimila morti è un numero talmente inimmaginabile che la memoria collettiva, in fondo programmata dalla natura per difendersi dal dolore, rimuove interamente il fatto. Così, mentre al confine tra Turchia e Siria le lacrime sembrano non bastare per un lutto che è più di una tragedia, in Italia le parole si spendono per altro.



Il punto non è moralizzare il dibattito pubblico o fare facili esercizi di benaltrismo, bensì constatare che davvero nessun fatto della realtà sembra più saper inchiodare la coscienza della contemporaneità. Un tempo simili ecatombi suscitavano sgomento nella percezione del popolo. Era tanto grande il mistero che le donne e gli uomini presentivano in tali calamità da intravedere nelle tristi trame della storia la mano di un Dio che – a seconda delle epoche – mandava i suoi castighi o permetteva alla morte di prevalere per suscitare nei cuori pentimento e conversione. Fino a qualche decennio orsono i denigratori della visione religiosa del mondo conservavano perlomeno, in queste circostanze, il livore di interrogare i credenti sul dolore innocente. “Dov’era Dio quando la terra tremava?” si chiedevano retoricamente, pronti a mettere all’angolo ogni risposta che non fosse una chiara ammissione di fallimento da parte di chi aveva fede.



Oggi tutto questo non c’è più. Eppure, proprio dentro quest’onda di dimenticanza, mentre l’uomo perde ogni memoria, è Dio che non si dimentica, è Dio che non viene meno. Abdullah e Afraa stavano guardando questi primi mesi del nuovo anno con in grembo un segno tangibile del futuro: Afraa era incinta di una splendida bambina e tutto, nella sua vita, sapeva di attesa. Certo non poteva sapere che cosa stava davvero attendendo. La notte del sisma la casa di Afraa e Abdullah è rovinata su se stessa, portandosi via i sogni che in essa erano stati concepiti.

Sotto le macerie, tuttavia, la morte ha mostrato il suo volto più vero: come un’anticamera di qualcosa che non possiamo conoscere, Afraa ha donato le sue ultime energie affinché nell’oscurità di quella notte la sua piccola venisse al mondo. Il parto ha ucciso Afraa e la bimba, esposta al freddo e alle intemperie, è stata raccolta dai soccorritori e portata in ospedale nella vicina Afrin. Vivrà. Come un segno potente, come un dono inatteso, come qualcosa di inspiegabile ma definitivo, vero. Dio permette che certe cose accadano non perché Egli le voglia, ma perché non ferma la realtà, non ferma la vita, non ferma quello che l’uomo può comprendere.



Dio consegna la storia alla libertà e all’intelligenza dell’uomo affinché la realtà stessa ridesti – nel cuore – il bisogno più ultimo e più vero, quello di un bene capace di vincere ogni male e ogni morte. Dio non risparmia agli uomini tutta la fatica del reale ma diventa compagnia perché nessuno si perda nell’abisso della sofferenza e della morte.

La figlia di Afraa è come un Natale inatteso. In un mondo senza stelle e senza pastori quel vagito ci racconta che, inaspettatamente, ci sono rimasti gli angeli. E tutto s’affretta ad essere salvato.

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