I vari interrogatori che Merah poté avere con la DCRI, in particolare il 14 novembre 2011, dopo il suo secondo ritorno dal Pakistan, non rivelarono che stesse seguendo la via di un “Jihad individuale”. Fu quindi una “sorpresa strategica” per l’intelligence francese, come lo era stata per gli Stati Uniti l’11 settembre 2001, per la Tunisia l’11 aprile 2002, per il Marocco il 16 maggio 2003, per la Spagna l’11 marzo 2004, per la Gran Bretagna il 7 luglio 2005, per l’India dal 26 al 29 novembre 2008, e nuovamente per il Marocco il 28 maggio 2011. In nessun caso si trattava di un fallimento, come testimoniano le conclusioni del rapporto dell’Ispettorato generale della polizia nazionale del 19 ottobre 2012. Indicava solo delle “deficienze oggettive” e una congiunzione di omissioni ed errori di valutazione, a problemi di guida e organizzazione dei servizi e a compartimentazioni ancora molto presenti tra intelligence interna, polizia giudiziaria e sicurezza pubblica.
Questa sorpresa e questi malfunzionamenti, stranamente simili a quelli segnalati dall’ispettore generale della CIA dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, erano tanto più comprensibili dato che il terrorismo era solo una delle preoccupazioni dei servizi di intelligence e sicurezza. Dal punto di vista amministrativo sfuggiva loro completamente, poiché era una riserva della polizia giudiziaria (UCLAT e Divisione nazionale antiterrorismo, DNAT), il che a volte portava a omissioni o a conclusioni affrettate. Così, il servizio regionale di polizia giudiziaria di Lille commise, secondo il giudice Bruguière, un “errore di valutazione”. La polizia giudiziaria lavorava in collaborazione con la giustizia, le cui prerogative erano state rafforzate dalle leggi adottate dal 1986, che definivano il terrorismo (9 settembre 1986) e avviavano la parte preventiva dell’antiterrorismo francese con la creazione del reato specifico di “associazione di malfattori in relazione con un’impresa terroristica” (22 luglio 1996), ai quali si aggiunsero alcuni “aggiustamenti” legislativi presentati come ordinari e necessari in relazione alla situazione.
La 14a sezione antiterrorismo della procura di Parigi (o Servizio centrale della lotta antiterrorismo, SCLAT) disponeva delle possibilità degli articoli 421-1 e 421-2 del Codice penale, che le permettevano di condurre una vera prevenzione, di fare pressione su soggetti suscettibili di passare all’azione trasmettendo loro un messaggio dissuasivo. È insomma una specificità francese ed è probabilmente in gran parte grazie a questo doppio lavoro dei Servizi generali e dei magistrati antiterrorismo che la Francia deve essere stata relativamente risparmiata sul suo suolo dall’ondata di violenza terroristica del decennio 2000. Dal 1999 al 2005, 331 terroristi furono così neutralizzati, di cui solo 85 (26%) furono condannati nell’ambito di quindici indagini giudiziarie, per fatti commessi in Francia o che riguardavano francesi all’estero (Marocco 2002-2003, Pakistan 2002, Algeria 2004, Iraq 2004, Afghanistan 2003-2004, Stati Uniti 2002-2005). Dal punto di vista politico, il terrorismo era trattato come lo spionaggio dal 1936, con una doppia coordinazione a livello del primo ministro, poi del presidente della Repubblica a partire dal 2002, e del suo collega dell’Interno. Un Consiglio di sicurezza interna (CSI) fu posto nell’aprile 1986 sotto l’autorità del primo. Riuniva i ministri dell’Interno, della Giustizia, degli Affari esteri, dei Dipartimenti e Territori d’oltremare e della Difesa per analizzare la minaccia terroristica e i mezzi da opporvi. Ricreato nel novembre 1997, il ministro incaricato delle dogane fu sostituito a quelli degli Affari esteri e d’oltremare.
Nel maggio 2002, la sua coordinazione passò al Presidente, mentre i responsabili dell’Economia e finanze, dell’oltremare e della Segreteria generale della Difesa nazionale (SGDN) si unirono ai suoi membri. In seguito al Libro bianco della Difesa del 2008 che definiva il concetto di sicurezza nazionale, fu trasformato in Consiglio di difesa e di sicurezza nazionale, con la SGDN che adottò gli stessi termini; il ministro della Giustizia ne uscì, mentre quello degli Affari esteri vi rientrava. Alla lotta contro il terrorismo, così come le programmazioni militari e di sicurezza interna e l’intelligence, aggiunti nel 2002, si aggiunsero la dissuasione, la conduzione delle operazioni esterne, la pianificazione delle risposte alle crisi maggiori, la sicurezza economica ed energetica. Sotto l’autorità del ministro dell’Interno, un Comitato interministeriale di collegamento antiterrorismo (CILAT) fu incaricato di coordinare le diverse amministrazioni coinvolte per l’adozione delle misure antiterrorismo a livello dei direttori di gabinetto dell’esecutivo, dei responsabili di polizia (DST e RG), della gendarmeria e della DGSE. Dal punto di vista pratico, i servizi affrontavano la problematica da angolazioni diverse, generando la nascita di nuove specialità. Prima di tutto perché il terrorismo poteva accelerare le incompatibilità caratteriali sempiternamente presenti tra i direttori dei diversi servizi. Tra DGSE e DST, fu il caso tra il generale Imbot o Jacques Dewatre (1993-1999), e i loro omologhi Bernard Gérard (1986-1990) o Jean-Jacques Pascal (1997-2002), nel contesto del terrorismo mediorientale (caso Abdallah, 1987) e algerino (dirottamento dell’Airbus Air France a Natale 1994, assassinio dei monaci di Tibhirine, 1996). Queste questioni non erano dibattute solo tra servizi francesi, ma riguardavano quelli degli altri Paesi colpiti da questa minaccia.
Per sostituire la scomparsa del Safari Club, tanto a seguito della rivoluzione iraniana quanto a causa della partenza di Marenches, il nuovo direttore del SISMI italiano, il generale di corpo d’armata Ninetto Lugaresi, aveva invitato a Roma, all’inizio del 1982, i suoi omologhi. Oltre al francese Pierre Marion, erano presenti il generale Emilio Alonso Manglano, per il Centro Superior de Información de la Defensa spagnolo, il generale Ahmed Dlimi, per la DGED marocchina, e Ahmed Bennour, per la Sicurezza nazionale tunisina. L’obiettivo di questo Midi-Club era di stabilire una borsa di informazioni riguardanti la lotta contro il terrorismo, in particolare libico, e il crimine organizzato. Per la DGSE, permise di rafforzare i suoi legami con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina. L’esfiltrazione del suo capo da Beirut da parte del SA, nell’agosto 1982, si concluse in un rifugio in Tunisia. Questa vicenda illustrava quanto il terrorismo fosse solo una preoccupazione tra le altre per i servizi di intelligence esterni.
Tra il 2002 e il 2009, la DGSE partecipò a un altro “club” controterrorista, su iniziativa della CIA nei giorni successivi agli attentati dell’11 settembre 2001 contro New York e Washington, la Base Alliance, installata nei locali dell’École militaire a Parigi. Si trattava di un sistema permanente di scambio di informazioni e coordinamento tra i servizi con conoscenze particolari sul terrorismo islamista (BND, MI5, MI6,ASIS e il Servizio canadese di intelligence di sicurezza). Il servizio francese contribuiva anche, dalla sua creazione nel 2004, alla cellula di intelligence del Centro di situazione dell’Unione Europea, che permetteva a questa associazione sui generis di ventisette Stati di disporre di uno strumento civilo-militare permanente di sorveglianza, analisi e reazione. Inoltre, ufficiali francesi partecipavano alla divisione Intelligence dello Stato maggiore dell’UE. La DST partecipava a sua volta al Gruppo antiterrorista messo in atto su raccomandazione dell’UE dal club di Berna dopo gli attentati americani del 2001.
Di fronte a queste diverse minacce, la DGSE non ha trascurato nessuno dei teatri operativi dove i combattenti islamisti potevano costituire una minaccia per la Francia o per gli interessi francesi. Dall’Asia centrale all’Africa, passando per il Medio Oriente, la DGSE ha cercato di individuare, monitorare e neutralizzare questi combattenti. Nell’Africa subsahariana, l’agenzia si è concentrata in particolare sul Sahel, dove gruppi come Al Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM) e Boko Haram operano attivamente. In Mali, dove l’intervento militare francese ha avuto inizio nel 2013, la DGSE ha avuto un ruolo fondamentale nel fornire intelligence per le operazioni militari contro i jihadisti. In Somalia, la DGSE ha collaborato strettamente con le forze speciali per combattere i gruppi terroristici locali, come Al-Shabaab. Il rapimento di ostaggi occidentali nella regione ha portato a una serie di operazioni di salvataggio, alcune delle quali coordinate con successo grazie all’intelligence fornita dalla DGSE.
Il Medio Oriente, e in particolare la Siria e l’Iraq, sono stati altri teatri di operazione chiave per la DGSE. Con l’ascesa dello Stato Islamico (ISIS), l’agenzia ha intensificato i suoi sforzi per monitorare e infiltrare le reti jihadiste. Collaborando con altre agenzie di intelligence occidentali, la DGSE ha cercato di prevenire attacchi terroristici in Europa e di supportare le forze locali contro i jihadisti sul campo.
In Yemen, la DGSE ha mantenuto un occhio vigile sulle attività di Al Qaida nella Penisola Arabica (AQAP), uno dei rami più attivi e pericolosi di Al Qaida. Operazioni di intelligence e azioni mirate hanno cercato di ridurre l’influenza di AQAP e prevenire attacchi contro obiettivi occidentali.
(2 – fine)
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