La Francia ferita dagli attacchi jihadisti delle ultime settimane si interroga sulle ragioni di questa recrudescenza. Tra le domande che vengono in primo piano ce n’è una che è stata approfondita in un recente articolo del New York Times: i tre giovani protagonisti degli ultimi attentati erano individui isolati, autoradicalizzati, piuttosto che affiliati a qualche network estremista. Tutti e tre erano sconosciuti all’intelligence, nessuno aveva giurato fedeltà a un gruppo terroristico e non c’è stata nessuna rivendicazione. Nessuno dei tre aveva familiarità con ideologie politiche e i segni di radicalizzazione, se vi erano, si manifestavano solo online. “È un jihad personale, religioso e senza domande”, dice Bernard Squarcini, ex capo dei servizi segreti interni, per il quale la Francia sta facendo i conti con una “nuova generazione” di estremisti islamici.
Questa nuova categoria di lupi solitari alla francese pone una sfida particolare all’antiterrorismo, che si deve misurare con un tipo di terrorismo diverso sia da quello degli assalti sincronizzati e organizzati alla perfezione degli anni precedenti, sia anche rispetto all’attacco di Vienna, che è stato messo a segno nel nome dello Stato islamico da un cittadino austriaco già condannato per aver tentato di unirsi alle armate del Califfato.
Come spiega Jean Charles Brisard, direttore del Centro per l’analisi del terrorismo di Parigi, nell’anno passato tutti i sette attacchi islamisti subiti dalla Francia, inclusi gli ultimi tre, sono stati attuati da individui sconosciuti all’intelligence, privi di legami con gruppi terroristici radicati. In più hanno usato armi non sofisticate.
È il caso di Brahim Aouissaoui, 21 anni, arrivato appena un mese prima a Nizza dopo aver lasciato la città natale di Sfax a bordo di un barcone insieme con altri migranti. Armato di un solo coltello, ha fatto irruzione nella Basilica di Notre-Dame uccidendo tre persone prima di avventarsi sui poliziotti al grido di Allahu akbar. La sua famiglia, rimasta in Tunisia, si dice sconvolta per il gesto del giovane, parlando di un ragazzo come tanti, emigrato in Europa in cerca di migliori opportunità. Solo nell’ultimo anno aveva cominciato a pregare, ma la famiglia nega che mostrasse segni di radicalizzazione.
Secondo Gilles Kepel, a seguito del collasso dello Stato islamico in Siria, si è generata una sorta di “atmosfera jihadista” in alcuni social media e nei meandri di alcune città europee e in questo brodo di coltura si è formata questa nuova generazione di estremisti. Questo rimando di Kepel alla “atmosfera jihadista” non chiarisce però se sia necessaria una scintilla per far scattare l’azione o se questi individui si mettano in moto autonomamente e repentinamente.
Negli ultimi attacchi, in realtà, questa scintilla c’è stata ed è stata la ripubblicazione delle vignette satiriche su Maometto da parte di Charlie Hebdo, una iniziativa che ha spinto Zaher Hassan Mahmoud, un 25enne arrivato in Francia dal Pakistan diversi anni fa, a comprare un coltello da macellaio per scagliarsi contro due persone a caso fuori dalla vecchia redazione di Charlie Hebdo.
Quasi come se fosse un circuito che si autoalimenta, la notizia dell’accoltellamento sembra aver spinto ad agire il 18enne rifugiato ceceno Abdoullakh Anzorov, che negli ultimi tempi era diventato molto attivo in rete, dove è andato a cercare gli indirizzi di persone che avevano insultato l’islam. Alla fine la sua ricerca si è appuntata sull’insegnante Samuel Paty, da lui decapitato il 16 ottobre.
“In questi ultimi tre attacchi si nota un’assenza di domanda politica ma non di un’istanza religiosa” spiega Wassim Nasr, giornalista esperto di jihadismo e autore di un libro sullo Stato islamico, per il quale i recenti attentatori sono da ritenersi dei semplici “fanatici” piuttosto che veri e propri jihadisti. La ripubblicazione delle vignette ha generato una forte ondata di risentimento che, secondo Nasr, rischia di allargare la platea di questi potenziali terroristi solitari.
Come ha già annunciato Macron, la risposta della Francia si manifesterà sotto la forma di quella che lo stesso presidente ha definito lotta al separatismo islamico. L’assunzione di base è che esista all’interno della Francia una rete autoctona radicale che, oltre a sfidare il secolarismo francese, contiene i germi di atti violenti. Da qui la decisione di colpire duro questi soggetti, nella convinzione che la loro predicazione motivi altri individui a compiere atti estremi. La posizione è condivisa da Brisard, per il quale gli ultimi attentatori hanno sì agito da soli, ma non in modo disconnesso dal loro ambiente circostante. Per tali ragioni la Francia intende sradicare questi network estremisti che sono, parola di Brisard, “i naturali e logici intermediari nel processo che porta alla violenza”.
C’è chi tuttavia solleva dubbi sull’efficacia di questa strategia, specialmente se rapportata all’insidia di nuovi lupi solitari francesi. Si tratterebbe, infatti, di monitorare individui che non esibiscono legami formali con alcun gruppo terroristico, cosa che renderebbe il lavoro degli inquirenti più simile a una sorta di polizia del web in cui cercare segnali premonitori di una possibile violenza jihadista. Si comprende pertanto come la nuova sfida francese contro i suoi mostri interni sia un’opera complicata che affida all’intelligence una responsabilità decisiva.