Due uomini incappucciati sono entrati nella chiesa cattolica di Santa Maria a Sariyer, Istanbul. Hanno ucciso un 52enne e hanno ferito altre persone mentre si celebrava la Messa. Quello che all’inizio, per le sue modalità, sembrava quasi un regolamento di conti, si è rivelato alla fine un attacco dell’Isis, cui è seguito l’arresto dei due attentatori, un tagiko e un russo, e di altre 45 persone. L’allarme terrorismo, d’altra parte, da quando è scoppiata la guerra a Gaza, è sempre stato alto in Turchia, un Paese che, come spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, paga il fatto di essere un ponte tra Occidente e Oriente: una condizione che genera un’ambiguità di comportamenti, a cavallo tra una cultura e l’altra, presa di mira dal fondamentalismo. Lo Stato islamico, d’altra parte, inizialmente è stato sostenuto dalla Turchia, che poi ha cambiato rotta. Il ritorno del terrorismo, inoltre, è una costante delle campagne elettorali e fra poco nel Paese ci saranno le elezioni amministrative, nelle quali Erdogan spera di riconquistare Istanbul. E le attività definite terroristiche non sono solo quelle dello Stato islamico, ma anche dei curdi e degli organizzatori del fallito golpe del 2016.



Come hanno reagito Istanbul e la Turchia all’attentato?

Nelle ore successive all’episodio la città si è subito mobilitata ed Erdogan ha rilasciato dichiarazioni secondo cui si era sulle tracce degli assalitori. Quando sono stati arrestati i due sospettati si è parlato di un coinvolgimento dell’Isis. Le operazioni contro lo Stato islamico in Turchia non si sono mai fermate. Tra il 2015 e il 2016 ha subito attacchi terroristici a cadenza regolare, molti di matrice Isis o di organizzazioni collegate. A Capodanno 2017 c’è stato un attentato in una discoteca di Istanbul. Nelle ultime settimane, di riflesso al riaccendersi della crisi nello scacchiere regionale e delle manovre che i turchi intendono di interferenza delle potenze straniere (che hanno portato a un’operazione interna contro agenti del Mossad) il governo ha convocato più volte il Consiglio di sicurezza, applicando norme più stringenti e misure antiterrorismo.



L’allarme terrorismo, quindi, non riguarda soltanto l’Isis?

La Turchia, dopo il 2016, dà un’interpretazione molto ampia del terrorismo: sono considerati terroristi gli esponenti di Fethullah Gulen, che hanno orchestrato il tentato golpe del 15 luglio 2016, l’Isis, il PKK (il Partito dei Lavoratori Curdo, nda) e le organizzazioni correlate, che operano da sempre nel Paese. Siamo anche in periodo elettorale, un voto amministrativo che però ha una valenza politica, nel quale Erdogan punta a riconquistare Istanbul e le maggiori città perse nel 2019. Mi aspetto che da qui al 31 marzo succeda dell’altro. Spero di sbagliarmi ma in campagna elettorale c’è sempre scompiglio.



Com’è la storia dei rapporti di Ankara con l’Isis?

Nel Paese le operazioni contro l’Isis non si sono mai fermate. Per capire il rapporto Turchia-Isis bisogna rifarsi al conflitto in Siria, in cui all’inizio Ankara sosteneva le milizie islamiche, tanto che alcuni giornalisti critici con il governo parlavano della Turchia come l’autostrada della jihad: avrebbe dato anche riparo a gruppi di questo orientamento. Poi ha cambiato registro, le logiche sono cambiate. A Istanbul più di una volta sono state individuate cellule dell’Isis, composte da stranieri: l’attentatore del Capodanno 2017 veniva dal Caucaso. Ci sono presenze dormienti che ogni tanto si fanno sentire.

Ma perché la Turchia è un obiettivo dello Stato islamico?

La Turchia è un Paese NATO che deve scendere a patti con l’Occidente e questo aspetto può essere inviso a un’organizzazione islamista. Poi è stata molto presente militarmente in Siria, soprattutto nei territori curdi. Ha avviato campagne contro il terrorismo indicando come target sia le organizzazioni curde che l’Isis: tendenzialmente ha dichiarato guerra allo Stato islamico.

Non ci sono, quindi, connivenze come quelle con Hamas?

La Turchia ha ospitato esponenti di Hamas, anche se ultimamente ne ha espulsi parecchi. La ritiene un’organizzazione di resistenza nazionale e l’interlocuzione politica da questo punto di vista continua. L’emotional feeling di Erdogan con alcune istanze religiose ha creato un contesto in cui si “digerivano” determinati gruppi. Ma la Turchia, che cerca di ritagliarsi un ruolo nel quadro del Medio Oriente, è anche molto criticata da diversi Stati arabi. C’è sempre questa duplice identità di un Paese ancorato alle istituzioni occidentali e che dall’altra parte fa l’occhiolino a gruppi portatori di determinati valori. Il fatto che questi due terroristi siano di origine russa e caucasica è ulteriormente significativo: tutti gli attentatori che hanno agito in Turchia e sono stati arrestati arrivavano da quelle parti.

I terroristi prendono di mira la Turchia perché tiene il piede in due scarpe?

Perché non si schiera. In realtà è un Paese inclusivo, la società turca accoglie, per questo c’è un grosso malcontento da parte di molti verso Erdogan, perché si è abbarbicato su istanze nazionaliste e religiose molto definite, mentre la Turchia storicamente è sempre stata composta da diverse identità e minoranze. Quella che viene presa di mira è la Turchia “pigliatutto”, che all’evenienza si accosta a determinati gruppi, ma poi comunque non può avere un’autonomia perché ancorata a principi che riportano all’Occidente. Quello che le si contesta è il suo opportunismo.

Si è parlato, in occasione di arresti precedenti, di un piano Isis per attaccare luoghi di culto cristiani e sinagoghe. Il fatto che l’attacco sia avvenuto in una chiesa cattolica porta a pensare che ci sia un tipo di intolleranza specificamente religiosa?

In passato ci sono state azioni contro chiese cristiane, portate avanti da gruppi di esaltati di estrema destra, che rappresentano una scarsissima minoranza. Uno di questi episodi è stata l’uccisione di padre Santoro, all’inizio degli anni duemila, da ricondursi ai lupi grigi. È anche vero che quelle principali, a Istanbul ma non solo, sono dietro cancelli: ci sono regioni nel Paese che hanno una connotazione religiosa molto forte, soprattutto nel Sud Est. Però non ci sono problemi a presentarsi come cattolici. Le chiese sostanzialmente non sono mai state un obiettivo, le sinagoghe, invece, sono sempre circondate da cordoni di sicurezza. La chiesa attaccata non è in un quartiere centrale, ma in uno residenziale un po’ fuori, quasi sul Mar Nero. Forse l’hanno scelta perché sapevano che non era controllata. Il governo nelle ultime settimane ha rafforzato l’intelligence e l’apparato antiterrorismo, potrebbe essere anche una reazione a questo. Rispetto ad altri attentati, comunque, questi due terroristi li vedo più come mine vaganti, non inseriti in qualcosa di strutturato. L’allarme terrorismo in Turchia c’è, al pari del grosso problema della diminuzione dei turisti come effetto della guerra tra Israele e Hamas.

(Paolo Rossetti)

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