La morte, non ancora riconosciuta ufficialmente dalla leadership di al Qaeda, pare per Covid, di Al Zawahiri, il successore di Osama bin Laden alla guida della formazione terroristica, apre scenari inediti sul futuro di al Qaeda stessa. L’ erede naturale di Al Zawahiri, infatti, era già stato eliminato ai primi di agosto da un commando del Mossad, attivato su richiesta di Washington, che fece fuori Abu Muhammad Al Masri, il numero due dell’organizzazione nascosto da anni a Teheran. Prima di lui era stato ucciso anche il figlio dello stesso bin Laden, Hamza. Al momento l’unico candidato possibile sembra essere Said al Adel, 60enne ex-colonnello egiziano, passato dalle caserme al terrorismo più o meno negli stessi anni di Al Zawahiri e messo alla testa poi del Consiglio della Shura di Al Qaeda. Secondo Marco Di Liddo, responsabile dell’Area geopolitica e analista responsabile del Desk Africa e del Desk Russia e Balcani presso il Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali –, “nessuna di queste notizie è certa, ma se lo fosse, si tratterebbe della conferma della leadership egiziana, in quanto lo è anche Al Zawahiri. Allo stesso tempo Al Qaeda in Afghanistan sta perdendo sempre più terreno rispetto all’Isis, che si rafforza sempre più”. C’è anche un cambio al vertice in Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), la formazione jihadista operativa nel Nord Africa, che ha individuato il suo nuovo leader per rimpiazzare Abdelmalek Droukdel, ucciso lo scorso giugno dalle forze francesi, con l’algerino Abu Obaida Yusuf al-Annabi.
Siamo davanti a un cambio nei vertici di Al Qaeda, che in Afghanistan si trova in difficoltà rispetto all’Isis. L’ex organizzazione di Osama bin Laden riuscirà a riorganizzarsi?
Le notizie sulla morte di Al Zawahiri non sono confermate, fino a quando non lo fa la leadership di Al Qaeda andrei con i piedi di piombo.
In Afghanistan al Qaeda sembra sempre più spiazzata dall’ex Stato islamico, che invece è sempre più attivo e conquista territori. Come mai?
E’ una partita diversa quella dello Stato islamico rispetto ad al Qaeda. L’organizzazione di Osama bin Laden fu per così dire ospitata da una realtà che era quella dei talebani, un qualcosa di diverso rispetto a loro. Questa dicotomia è sempre stata costante. Lo Stato islamico, ma siamo sempre nel campo delle ipotesi, invece ha una maggior tendenza alla nascita di una organizzazione più autoctona, cosa che è sempre stata la sua forza. Lo Stato islamico è stato molto bravo a dipingersi come un modello di jihad con regole che hanno dato vita a una struttura flessibile, capace di incentivare i gruppi locali alla propria militanza. Al Qaeda invece ha sempre avuto un approccio dall’alto verso il basso, una direzione centrale molto forte per influenzare le azioni delle cellule franchising locali.
In che modo Al Qaeda ha perso la sua superiorità? E che cosa è diventata oggi?
Questa manovra si è diluita solo quando la partita del controterrorismo globale ha reso difficili i rapporti fra il centro e il franchising e quando sono venuti meno i finanziamenti del patrimonio di bin Laden. Continua a sopravvivere una formazione molto forte, capace di influenzare i comportamenti delle organizzazioni sul campo.
Lo Stato islamico invece?
In questo momento lo Stato islamico è più attivo, è difficile dire se sia più forte, ma al momento l’Isis è senz’altro più dinamica.
Chi c’è veramente dietro ai recenti atti di terrorismo in Francia e a Vienna?
Da quanto emerge dalle indagini ancora in corso c’è la forza propagandistica dello Stato islamico rispetto ai radicalizzati europei. E’ molto più convincente di al Qaeda nel far colpo sui cosiddetti lupi solitari, non c’è paragone.
In che modo?
Lo Stato islamico ha investito molto nella comunicazione strategica come arma di guerra. Ha familiarità a muoversi nello spazio virtuale, a favorire il processo di radicalizzazione in remoto, quello che è accaduto in Europa è frutto di una attività di proselitismo online intensificata dopo la morte di al Baghdadi e la perdita dei territori in Siria e Iraq.
Di questo ex colonnello egiziano cosa si sa?
Molto poco. Trattandosi anche lui di un egiziano, se fosse confermato, sarebbe il segnale che c’è una linea di continuità tra egiziani. Vuol dire che all’interno della leadership di Al Qaeda l’elemento egiziano è in primo piano.
Questa continuità e questa supremazia hanno a che fare con la Fratellanza musulmana?
No, sono due partite completamente diverse. La Fratellanza musulmana è una organizzazione politica diversa da al Qaeda, che è una formazione terroristica.
Anche nel Nord Africa c’è un cambio ai vertici. Quanto influirà sul terrorismo in arrivo dai territori sub-sahariani?
In questo momento il Nord Africa e il Sahel sono le regioni del mondo dove al Qaeda appare più forte e con ottimi contatti sul terreno. È il bastione migliore per l’organizzazione, grazie all’attivismo non solo della componente algerina, impegnata nella continua lotta contro il sistema di potere militare di Algeri, ma anche al fatto che alla fine degli anni 90 è stato affrontato un investimento molto forte con le realtà tribali del Sahel, infettando una serie di minoranze che oggi rappresentano la prima linea. Fermo restando, però, che anche qui la concorrenza dell’Isis è forte e si fa sempre più pressante.