Ci sono situazioni talmente ingarbugliate da non consentire nessuna risoluzione soddisfacente. Comunque la si metta, se ne esce tutti sconfitti. La coperta è troppo corta e aggrovigliata. Ci sono situazioni, però, la cui soluzione impossibile rende evidente il necessario cambio di passo. Bisogna andare alla radice della questione e superare le incrostazioni del tempo. La messa in stato di fermo di alcuni ex terroristi italiani in Francia e la loro eventuale più o meno prossima estradizione è indubbiamente una di queste.
Ricapitoliamo. Nel corso del tempo, ma soprattutto tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, alcune centinaia di militanti di estrema sinistra, coinvolti a ragione o a torto in vicende giudiziarie riguardanti tragici fatti legati alla cronaca politica di quegli anni, ottennero asilo in Francia. Il rifiuto da parte del Governo francese di concedere la loro estradizione ebbe sostanzialmente due motivazioni: a) la legislazione antiterrorismo in vigore in Italia, in specie l’uso qualche volta spregiudicato del “collaboratore di giustizia”, ossia dell’accusato trasformato in testimone d’accusa in cambio di cospicue riduzioni di pena; b) l’avere subìto, possibilità non contemplata dalla legislazione francese, una condanna definitiva in contumacia, cioè senza presenziare al processo. Attualmente, in Francia, vi sono ancora circa duecento “rifugiati politici” italiani.
La prima considerazione che viene immediatamente in mente è legata al lasso di tempo che intercorrerebbe tra reato e detenzione. Scontare una pena quando si ha vent’anni non equivale ad espiarla quando se ne ha sessanta. E dopo quarant’anni, nessuno è più quello di prima. Anche il mondo, l’assetto geopolitico e quasi tutti i paradigmi di riferimento sono radicalmente mutati. L’eventuale estradizione dei fermati potrà anche concludere un intricato iter giudiziario e forse lenire (sinceramente, ne dubito) alcune dolorose ferite, ma che fine farebbe la funzione rieducativa della pena e quindi l’applicazione dei dettami della Costituzione? Per loro e per lo stato di salute della giustizia nel nostro Paese, quindi per tutti noi, mi auguro se ne tenga conto.
Tuttavia ha ragione Galli della Loggia quando sostiene, in una intervista all’HuffPost, che oltre alla questione temporale bisogna tenere conto soprattutto di un altro fattore: il terrorismo è stato anche un “fenomeno politico”, che in quanto tale ha già avuto “sanzioni politiche”. A questo proposito, Galli della Loggia fa un esplicito riferimento alla “legge sui pentiti” voluta dal generale Dalla Chiesa, quella stessa legge che ha contribuito alla formazione del caso in oggetto. Io mi permetterei di aggiungere, sottolineandone l’importanza capitale, la “Legge sulla dissociazione politica” che consentì il graduale processo di de-carcerazione di centinaia di detenute e detenuti per fatti di lotta armata e che sancì il ritorno alla democrazia di un’intera generazione ribelle.
Forse bisognava risolvere il problema dei “rifugiati politici” in Francia allora, nel 1987. Come racconto in Addio rivoluzione, provammo a coinvolgerli, ma invano.
Tenendo presente il carattere politico del terrorismo, continua ad avere ragione Galli della Loggia quando, accanto al diritto delle vittime a vedere i carnefici puniti, pone quello dello Stato (inteso come comunità) a costruire i presupposti per una definitiva pacificazione. E a questo proposito sottolinea quanto sarebbe opportuno immaginare un provvedimento di amnistia che sancisse la piena vittoria della democrazia e la definitiva chiusura di un’epoca.
Tuttavia, perché vi sia un processo di vera pacificazione, occorre anche una dinamica di riconciliazione autentica, il cui presupposto è una franca discussione che porti a un minimo di memoria condivisa su quel periodo. Periodo di dure e feroci battaglie politiche durate due decenni, che coinvolsero milioni di persone, interi strati sociali e diverse generazioni e di cui il terrorismo non fu che il tragico epilogo.
Stiamo parlando dell’ultimo tentativo di rivoluzione nell’Occidente capitalistico. Magari velleitario, ma dannatamente concreto. Stiamo anche parlando di un capitolo della storia dei totalitarismi, una faccenda sciaguratamente mai affrontata sul serio in Italia. Di certo (e aggiungerei purtroppo), non stiamo parlando delle scorrerie della banda della Magliana.
Fa bene la ministra Cartabia a fugare ogni sospetto di vendetta. L’estradizione di Cesare Battisti, nella sua blasfema spettacolarizzazione, è stata una scellerata e meschina esibizione di potere, una manifestazione del puro diritto di rappresaglia, l’applicazione sadica del meccanismo del capro espiatorio. In definitiva, una ferita inferta alla democrazia e una degradazione della dignità dello Stato.
Il fermo degli ex terroristi potrebbe allora essere l’occasione per l’avvio di un dibattito quanto mai necessario. Proviamoci, con intelligenza e pietà, pazienza e determinazione. Che il riacceso dolore delle vittime, la sofferenza dei rei e l’angoscia delle famiglie non si perdano nel nulla, ma si trasfigurino in una qualche forma di riconoscimento reciproco.
Quanto bisogno abbiamo di perdono, ragazzi!
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