A che gioco stanno giocando russi e americani? Quello dell’Ucraina è un risiko che mette paura al mondo, ma ci sarà davvero una guerra in grado, come dicono gli americani, di causare 50mila morti e 5 milioni di profughi? Secondo il generale Giorgio Battisti, generale di corpo d’armata, già comandante del corpo d’armata di Reazione rapida della Nato in Italia e capo di stato maggiore della missione Isaf in Afghanistan, si tratta di un grande bluff, da una parte e dall’altra: “Dipendiamo unicamente dai bollettini che rilasciano i servizi di intelligence americani, sono loro a dirci che nel tal giorno o nel tal altro i russi sferreranno un attacco. Putin non ha mai detto di voler attaccare. Inoltre dal punto di vista militare i 150mila uomini schierati da mesi al confine con l’Ucraina non sono sufficienti per l’attacco su larga scala di tipo convenzionale che viene attribuito ai piani di Putin”.
Per far ciò, ci dice sempre Battisti, “ci vuole un numero di soldati molto maggiore per coprire, dopo aver eventualmente sfondato le prime linee, il retrovia, visto che gli ucraini sono un popolo che ha sempre combattuto con orgoglio i russi. Nel dopoguerra si opposero per quasi dieci anni all’occupazione sovietica e portano nella memoria il genocidio operato da Stalin negli anni Trenta”. Il quadro è dunque molto confuso: Putin provoca, ma Biden, come ogni presidente americano – conclude Battisti – “ha bisogno della sua guerra personale”.
Sappiamo che schierati al confine con l’Ucraina ci sarebbero circa 150mila soldati russi, ma diversi analisti dicono che non sono sufficienti perché occorrono molti altri soldati per assicurare rinforzi e occupare il territorio. Lei cosa ne pensa?
Sappiamo questi numeri dai servizi di intelligence americani che ci aggiornano quotidianamente da mesi. 150mila possono essere tanti o pochi, dipende dall’obiettivo potenziale che Putin si pone. Stiamo però facendo fantapolitica, perché Putin non ha mai detto di voler attaccar l’Ucraina, sono i servizi segreti occidentali che dicono che l’attacco sarà questo o quel giorno.
Facciamo fantapolitica e ipotizziamo che i russi attacchino veramente. L’obbiettivo, dicono sempre gli americani, sarebbe Kiev. Ci arriverebbero?
Usiamo allora l’esempio della seconda guerra in Iraq. Gli americani avevano all’incirca lo stesso numero di uomini che hanno adesso i russi, contro un esercito, quello di Saddam, molto più numeroso, ma meno efficace ed efficiente. Se Putin ha in mente di fare quello che una volta si definiva “blitzkrieg”, guerra-lampo, i russi potrebbero arrivare più o meno sulla sponda del Dnepr, il grande fiume che taglia a metà l’Ucraina. Ma oltre il Dnepr avrebbero dei problemi, perché per attraversare quel fiume e occupare tutto il paese 150mila uomini non bastano.
Di cosa avrebbero bisogno?
Serve innanzitutto un equipaggiamento imponente, a cominciare dai ponti mobili che si usano per far attraversare a un esercito un fiume così grande. Ma poi dovrebbero avere molti uomini alle spalle per controllare le retrovie, perché da sempre tra ucraini non russi e russi c’è un odio profondo. Basti pensare al genocidio subito dagli ucraini negli anni Trenta da parte di Stalin e poi alla guerra di indipendenza combattuta per quasi dieci anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale per resistere all’occupazione sovietica.
L’esercito ucraino quale reale forza ha? Sarebbero giunti missili dalla Lituania e munizioni dagli Usa, ma il famoso dispiegamento di forze Nato annunciato da Biden non si è mai visto.
In Ucraina da tempo erano presenti istruttori americani e inglesi per addestrare le forze locali alle armi che sono state date loro. Sono stati ritirati proprio in questi giorni. Di soldati Nato in Ucraina da quello che riportano le dichiarazioni non ce ne sono, al massimo qualche centinaio di istruttori. Pensiamo poi che gli Usa avevano mandato come istruttori personale della Guardia Nazionale dell’Alabama, non sicuramente personale di primo livello. L’Afghanistan, anche se è una realtà diversa, ci insegna che non basta addestrare il personale, serve la volontà di combattere.
Ma quello ucraino è un esercito moderno, addestrato bene?
Non so dire se siano addestrati ai massimi livelli, però ritengo sia un esercito sufficientemente addestrato. Attenzione però: la guerra nel Donbass è stata una guerra di posizione, se guardiamo le immagini sembrano le trincee della Prima guerra mondiale. Bisogna vedere se gli ucraini hanno oggi la mentalità per uscire dalla guerra di trincea. Se i russi dovessero attaccare si tratterebbe di intraprendere, da parte ucraina, una guerra di resistenza, ma articolandola in profondità. Se i russi sfondano la prima linea, devono trovare altri soldati che siano pronti alla difesa.
Tutto nasce dall’opposizione russa all’allargamento a Est della Nato, peraltro anche con ragione visto che dopo la caduta del Muro di Berlino era stato promesso a Mosca che non sarebbe avvenuto. Con la Crimea e il Donbass occupati, l’Ucraina ha i requisiti per entrare nella Nato?
Come per l’Unione Europea, per entrare nella Nato il paese richiedente deve rispettare certe caratteristiche. In questo momento l’Ucraina secondo me non ha tutti i requisiti per fare questa richiesta. A Kiev interessa entrarci per via dell’Articolo 5, dove si dice che se un paese membro è attaccato tutti gli altri devono difenderlo. In più, il paese richiedente deve presentare delle capacità di efficienza del proprio esercito che siano quantomeno pari agli altri eserciti dei paesi Nato.
Lei ritiene quindi che non ci sarà nessun attacco russo?
Da come questo attacco russo viene dipinto dall’Occidente, mi sembra di vedere scene dei tempi della Seconda guerra mondiale. Un attacco di norma deve avvenire di sorpresa, e non è questo il caso. E poi non penso che la comunità internazionale ma anche il popolo russo possano accettare un’offensiva su larga scala di tipo convenzionale che secondo gli americani potrebbe causare 50mila morti e 5 milioni di rifugiati. Il rischio vero è che capiti un incidente sulla linea di contatto.
Ecco, cosa succederebbe?
Ci sono soldati che sono mesi che sono lì, che sono stressati, che soffrono il freddo, un incidente di un militare anche di basso grado che interpreta male un ordine farebbe scattare una serie di procedure che portano inevitabilmente alla risposta militare. Questo è il grosso rischio.
Ritiene che gli Stati Uniti abbiano una condotta provocatoria?
Gli americani perseguono la loro politica di grande potenza; ogni presidente deve avere la sua guerra.
Però dopo la débâcle in Afghanistan non sembrerebbe che gli americani oggi siano in grado di scendere in guerra. O no?
Biden però deve recuperare consenso e supporto sul fronte interno, perché non è messo per niente bene. Quindi mostrare i muscoli, quanto meno contenendo la provocazione russa, può fargli bene. C’è poi una grossa differenza tra Occidente e Russia.
Quale?
Per loro decide una sola persona, l’Occidente ha trenta paesi che devono decidere. Certo, è la forza della democrazia, ma in certi momenti può creare rallentamenti nella fase decisionale.
(Paolo Vites)
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