Si riapre il fronte nordcoreano, dopo le parole pronunciate da Joe Biden la settimana scorsa al Congresso, quando ha dichiarato molto chiaramente che è compito della sua amministrazione “affrontare la minaccia rappresentata dal programma nucleare di Pyongyang”. Parole alle quali la Corea del Nord ha risposto immediatamente tramite un funzionario del ministero degli Esteri, secondo il quale la nuova politica estera americana “costringe ad adottare misure corrispondenti”.



Dimenticati quindi i tempi dello storico avvicinamento tra Trump e Kim Jong-un, anche perché di quest’ultimo, come ci ha detto Francesco Sisci, sinologo ed ex corrispondente de La Stampa da Pechino, “da circa un anno non si sanno precisamente le reali condizioni e il reale potere”: “È evidente che la Corea del Nord è tornata sotto l’ala protettiva di Pechino, che la usa come carta da giocare in una partita complessiva, il cui contenuto a noi è sconosciuto”.



Biden ha intrapreso un percorso che, nei confronti della Corea del Nord, prende le distanze sia dalla politica di Obama che da quella di Trump verso Pyongyang: perché?

Ovviamente non possiamo essere nella sua testa, ma quello che si vede dai suoi comportamenti in politica estera è che Biden sembra aver messo in ordine una strategia precisa.

Quale?

Ha individuato quattro paesi considerati “cattivi”: nell’ordine, la Cina, la Russia, l’Iran e la Corea del Nord. C’è stato anche un tentativo di invitare la Cina a collaborare sulla Nord Corea, però queste aperture non hanno sortito grandi effetti. In questo elenco la Corea del Nord è l’elemento più spinoso.



Per quale motivo?

Perché ha un mix particolare. Possiede armi nucleari e la capacità di lanciarle, cosa che anche gli altri paesi citati hanno, però a differenza loro Pyongyang ha dimostrato in passato di essere pronta ad azioni incontrollabili. Non ha poi una profondità strategica come la Russia, la Cina e l’Iran, paesi che possono subire uno smacco militare senza che il paese ne esca sconfitto. La Nord Corea ha invece una profondità strategica molto limitata, per cui uno smacco diventa pericoloso. Ci sono poi questioni interne irrisolte: non conosciamo l’attuale ruolo di Kim Jong-un, è tutto avvolto nel mistero, e in questo quadro la Corea del Nord può essere un elemento molto pericoloso, che fa impazzire anche altri scenari.

Tutto il mondo era stato colpito da quanto Trump era riuscito a ottenere, poi cosa è successo?

Quello che è successo a un certo punto, a mio avviso, è che questo incontro, questi passi avanti significativi avvenivano sotto la benedizione cinese. Quando i rapporti tra Usa e Cina sono degenerati, allora Pechino non ha più avuto interesse a spingere la Nord Corea a una pace separata. Anzi probabilmente la Cina ha voluto riprendere il controllo. A questo punto la Corea del Nord è diventata un elemento di scambio importante nell’ambito di una trattativa più complessa. Pechino oggi non ha oggettivamente interesse a risolvere separatamente la questione nordcoreana, ha interesse a inserirla in un quadro complessivo.

In cui, ad esempio, potrebbe entrare anche la questione di Taiwan?

Non lo sappiamo. La Cina ha sicuramente un’agenda, ma Taiwan, il Giappone e gli Usa ne hanno altre, che non è detto coincidano fra loro, soprattutto con l’agenda americana. Oggi però è tale e sempre più crescente la distanza tra la Cina e gli Usa e i suoi alleati che ormai le differenze fra alleati svaniscono, la questione nordcoreana per la Cina è una carta da giocare in una partita a lungo termine. In questa partita che cosa ci sia o non ci sia non lo sappiamo.

Come pensa si muoverà adesso Biden? Ha parlato di “severa deterrenza”.

Penso che potremmo aspettarci un ulteriore dispiegamento di missili a breve e medio raggio ufficialmente puntati contro la Corea del Nord, ma oggettivamente a questo punto potrebbero anche essere pensati contro la Cina.

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