Nei giorni scorsi due pesi massimi dell’opinione pubblica americana, David Ignatius e Fred Kaplan, hanno puntato il dito sul processo di riarmo nucleare e missilistico in corso in Cina. “Il punto fondamentale – osserva Francesco Sisci, sinologo ed ex corrispondente de La Stampa da Pechino – è che secondo gli analisti la Cina avrebbe acquisito la capacità di second strike, di secondo colpo, cioè di reazione nucleare”.
Perché è un punto fondamentale?
Lo è sotto il profilo dell’equilibrio del terrore nucleare. La capacità di reagire dopo un primo attacco nucleare significa che, se anche un nemico attaccasse per primo con un’offensiva nucleare, il paese sotto attacco manterrebbe una capacità di reazione per un possibile contrattacco.
Finora chi dispone di questa capacità di “second strike”?
Finora solo Usa e Russia hanno tali capacità. Se la Cina oggi l’ha acquisita o la sta per acquisire, cambiano tutte le dinamiche militari e politiche globali. Secondo i giornalisti americani, infatti, la Cina ha sulle strade camion perennemente in moto che trasportano, celandoli, missili balistici in grado di essere operativi in poco tempo. Visto il loro numero e l’estensione del paese alcuni di questi sopravvivrebbero a un primo colpo e potrebbero lanciare i loro missili contro un eventuale primo attaccante.
Dove stanno i pericoli maggiori?
America e Russia hanno acquisito i loro arsenali nel corso di molti anni e nel contempo hanno definito con sempre maggiore chiarezza le loro regole di ingaggio politico e militare. Oggi invece Usa e Cina si trovano con arsenali già molto robusti – anche se gli Usa restano di gran lunga più armati –, ma gli equilibri politici e militari rimangono ancora molto confusi. Da qui deriva una maggiore possibilità di incidenti ed errori reciproci.
Come cambia allora lo scenario?
Il grande riavvicinamento tra Usa e Cina negli ultimi 50 anni, dal viaggio di Nixon in poi, si è basato su una serie di collaborazioni militari – contro l’Urss al confine nord e in Afghanistan, oppure contro il Vietnam – e una serie di ambiguità strategiche come sul confine sino-indiano, Taiwan, il Mar cinese meridionale eccetera. Oggi le collaborazioni militari non ci sono più o sono rovesciate: Mosca, che prima era comune nemica di Pechino e Washington, è legata alla Cina, mentre il Vietnam, in precedenza nemico degli Usa, oggi è vicino all’America.
Quindi?
I vari terreni di ambiguità strategica si stanno definendo, ma non sono delineati ancora e non è chiaro come e quando potranno essere definiti. Quali sono i limiti invalicabili reciproci e veri, non di facciata, su Taiwan o sul Mar cinese meridionale o sulle Senkaku? Siamo cioè in una situazione come tra il 1945 e il 1948 in Europa tra Usa, Gran Bretagna e Francia e Urss. Solo che allora solo gli Usa avevano la bomba, si era appena usciti da una guerra e nessuno aveva voglia di tornarci. Quindi i confini europei, che diventarono cortina di ferro, vennero tracciati senza ulteriori conflitti.
E oggi?
Oggi bisogna tracciarli mentre si hanno armi nucleari e il ricordo di una grande guerra distruttiva è lontano, quindi fantasie bellicistiche possono muoversi da sole più liberamente. Inoltre, allora, la guerra di Corea del 1950, con l’armistizio del 1953, diede ai due blocchi l’occasione per testare i limiti reciproci. Per questo nel 1956, con la protesta in Ungheria gli Usa non intervennero, perché c’era un accordo non scritto e l’Ungheria era sovietica, e un intervento diretto avrebbe scatenato reazioni ben più grandi. Oggi, però, non abbiamo avuto un conflitto in cui le due parti hanno stabilito i limiti, e se anche ci fosse, vista poi l’attuale capacità cinese di reazione nucleare, tante cose potrebbero rapidamente degenerare.
Che cosa bisognerebbe fare?
Dovrebbero essere rapidamente negoziati dei limiti, ma questo avviterebbe ancora di più la situazione in una guerra fredda con possibili ricadute economiche importanti. Del resto, se i limiti non sono negoziati, le possibilità di incidente aumentano.
Come hanno reagito gli Stati Uniti a questa nuova capacità cinese?
In America le opinioni sono divise e un attento osservatore di Washington come Chris Nelson raccomanda un freno al riarmo nucleare Usa. Gli Stati Uniti oggi hanno comunque una capacità militare molto superiore alla Cina e un riarmo nucleare distoglierebbe risorse dall’attuale piano americano di rilancio infrastrutturale e produttivo.
E la Russia?
L’arsenale russo, specie se computato insieme a quello cinese, potrebbe dare risultati drammatici nei calcoli strategici.
Non va poi dimenticata la Corea del Nord…
Ora è più sotto l’ombrello di Pechino, ma potrebbe giocare una specie di “guerra di corsa” per sé e per altri in questo scenario già confuso.
Di fronte a tutto questo, cosa deciderà di fare l’America?
Qui c’era una vecchia divisione: le élite militari soffiavano sul fuoco, quelle economiche lanciavano colombe attratte dalle opportunità di mercato della Cina. Fino a ieri le élite economiche erano prevalenti, oggi l’equilibrio si sta spostando sempre più velocemente a favore delle élite militari, anche perché le opportunità di affari degli stimulus plan americano o europeo per il dopo Covid forniscono molte più opportunità della Cina. E poi la sicurezza alla fine prevale sempre sull’economia in condizioni di pericolo.
Questa capacità di “second strike” non farà altro che aumentare la percezione che la Cina sta sempre più diventando una minaccia, non crede?
È il problema di fondo: a Washington l’idea che la Cina ponga una minaccia strategica come l’Urss sta ottenendo “traction”, trova un consenso sempre maggiore. E questo consenso, una volta affermato, obbedisce poi a logiche difficili da fermare o sterzare.
(Marco Tedesco)
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