Il fatto che la Cina abbia definito inammissibile la decisione del governo indiano di cancellare l’autonomia giuridica e politica della regione del Jammu e del Kashmir potrebbe certamente non solo compromettere gli interessi cinesi nella gestione del 5G indiano, ma accentuare i numerosi motivi di contrasto tra la Cina e l’India.
Incominciano a chiarire in prima battuta quali sono stati i recenti rapporti tra la Cina e l’India sul 5G.
In un incontro riservato svoltosi il 10 luglio l’ambasciatore indiano a Pechino, Vikram Misri, è stato chiamato al ministero degli Esteri cinese poiché la Cina sarebbe preoccupata che, a causa delle pressioni americane, la gestione dell’infrastruttura del 5G passi nelle mani di altre multinazionali (Samsung e/o Nokia Ericsson). Ebbene, nel caso in cui l’India non intendesse più affidare alla multinazionale cinese Huawei la gestione del 5G – nonostante il fatto che il Dipartimento di telecomunicazioni indiano e i servizi di intelligence non abbiano rilevato alcuna minaccia per la sicurezza nazionale – la Cina attuerebbe delle sanzioni di natura economica nei confronti delle industrie indiane presenti in Cina.
Vediamo adesso di illustrare quali sono i motivi di contrasto allo stato attuale tra l’India e la Cina.
Il primo motivo di contrasto lo ha esplicitato il ministro degli Esteri cinese Hua Chunying, che ha dichiarato di essere contrario a questa decisione perché le rivendicazioni di Pechino su una parte del territorio conteso sono state incluse nella regione amministrata dall’India. Infatti la Cina amministra Aksai Chin, una regione nord-occidentale del Kashmir, come parte della Contea di Hotan della regione autonoma dello Xinjiang. Ebbene l’India rivendica questo territorio come parte della sua integrerà nazionale.
La seconda ragione di conflitto a livello territoriale tra India e Cina è relativo alla regione dell’Arunachal Pradesh, che l’India gestisce come stato, ma che la Cina rivendica come parte integrante del Tibet e quindi della sua integrità territoriale.
Tuttavia i contrasti tra India e Cina sono molto più profondi e vanno ben aldilà di rivendicazioni territoriali, perché affondano le loro motivazioni in precise scelte strategiche da parte della Cina.
In primo luogo, come abbiamo già avuto modo di sottolineare negli articoli precedenti, la Cina intende attuare una proiezione di potenza sia nel Mar Cinese meridionale sia, soprattutto, nell’Oceano Indiano, cioè intende attuare una logica di espansione di natura economica e anche di natura militare (leggi infrastrutturali militari) nel contesto dell’Indo-Pacifico. A tale proposito la Cina considera quella vasta area geografica che passa da Gwadar (in Pakistan), Hambantota (in Sri Lanka), Chittagong (in Bangladesh) e arriva fino a Sittwe (nello Myanmar) come una propria zona di influenza.
A tale proposito la terza ragione di conflitto tra la Cina e l’India è relativo al cosiddetto China-Pakistan Economic Corridor (Cpec), corridoio finalizzato a rendere il collegamento tra il Pakistan e la Cina (nel contesto della Via della Seta cinese) più agevole grazie alla costruzione di infrastrutture ferroviarie, portuali ed energetiche. Un corridoio che guarda caso attraversa proprio il Kashmir oltre al Belucistan e allo Xinjiang.
Il quarto motivo di contrasto tra la Cina e l’India è certamente il porto di Gwadar che oltre a svolgere un ruolo fondamentale all’interno del corridoio cino-pakistano è a tutti gli effetti un’infrastruttura portuale fondamentale per la proiezione di potenza economica cinese visto che questa infrastruttura portuale le consente di connettersi sia con il Golfo Persico che con il Mare Arabico.
Altri strumenti ritenuti certamente molto rilevanti per la Cina per agevolare la sua proiezione di potenza marittima nell’Oceano Indiano sono il fatto che il Dragone appoggi il processo di pace in Myanmar con lo scopo di costruire infrastrutture che le possono consentire di accedere direttamente all’Oceano Indiano, e la concessione da parte dello Sri Lanka del porto di Hambantota di cui la compagnia cinese China Merchants Port Holdings ha ottenuto il controllo del 70% per 99 anni.
Il quinto motivo di contrasto è relativo al controllo da parte della marina cinese di gran parte dell’arcipelago delle Maldive allo scopo di contenere l’India. Già a partire dal 2014, infatti la Cina ha investito milioni di dollari come sempre in infrastrutture indispensabili per agevolare il suo commercio globale. Fra questi progetto più significativo realizzato e inaugurato nel 2018 è il Maldive-China Friendship Bridge, costato circa 210 milioni di dollari e costruito dalla China Harbor Engineering che collega la capitale con la vicina Hulhumale.
Ancora una volta anche l’arcipelago delle Maldive, in virtù della sua posizione strategica, è ritenuto uno snodo importante della Belt and Road Iniziative.
In definitiva la strategia da parte della Cina nei confronti dell’India mira non solo a contenerne la proiezione sull’Oceano Indiano – perché potrebbe minacciarne l’egemonia economica -, ma è volta a limitarne l’influenza anche nelle regioni che confinano con il suo territorio.