In febbraio l’area dell’Ucraina confinante con la Russia è assai innevata e lo strato superficiale del terreno ben ghiacciato. Il che dona agli spostamenti terrestri di macchine da guerra e di uomini un terreno solido, senza gli ostacoli della neve e del ghiaccio. Con la primavera, con l’aumento termico e lo scioglimento della neve e del ghiaccio, il terreno diventerà umido, per il progressivo scioglimento del manto nevoso e quindi poco praticabile. Di qui il ruolo che potrebbe svolgere la diplomazia per giungere alla fase primaverile senza conflitti armati: i tempi per le trattative diverrebbero assai più ampi.



A questo si deve pensare per comprendere la guerra ai confini tra la Russia e l’Ucraina. Come la meteorologia è essenziale per capire il terreno di battaglia, quello che von Clausewitz avrebbe definito il “rapporto tra tecnica e strategia” della guerra lo è altrettanto per rendersi pienamente conto della posta in gioco in Ucraina, in Europa e nel mondo. Le teorie non solo delle relazioni internazionali, ma altresì della guerra conducono a farci prevedere una nuova sistemazione delle relazioni di potenza dopo mesi e mesi, anni e anni di conflitto tra Russia, da un lato, e Usa, dall’altro. “La guerra – ricordava Raymond Aron – costituisce una totalità” (R. Aron, Penser la guerre. Clausewitz, Gallimard, Paris, 1976): solo la “totalità” degli avvenimenti e delle forze in campo può farci comprendere il senso della guerra così come della minaccia della guerra. Orbene: il senso della guerra russo-statunitense inizia con la sconfitta dell’Urss e la fine di Yalta, ossia della sistemazione europea e mondiale che da quel trattato scaturì. 



Dopo Yalta la Germania fu divisa e l’Europa dovette essere pensata dagli Usa in funzione anti-sovietica. Invece, dopo la fine dell’Urss furono gli Usa a doversi ripensare, tanto più quando, dopo il 1971, persero il controllo delle relazioni economiche mondiali per la fine di Bretton Woods e inseguirono il dominio indo-pacifico con le relazioni privilegiate con la Cina, allora in funzione anti-Urss, proprio perché premuti dalla necessità dell’allargamento continuo dell’accumulazione capitalistica. 

Tutto ciò si disvelò tuttavia pienamente solo con il crollo sovietico, come emerse chiaramente con la fine del Glass Act e le liberalizzazioni finanziarizzate promosse su scala mondiale (di questo non si è parlato nell’anniversario di Tangentopoli). L’entrata per via finanziaria e poi industriale della Cina nella Wto fu la logica conseguenza di ciò: erano l’Asia e la Cina in primis a spalancare le porte della nuova accumulazione. Questa volta la via per crearla, l’accumulazione allargata, sarebbero stati la finanza e il capitalismo dittatoriale e terroristico cinese. Agli Usa seguì in primis la Germania, con l’industria di una potenza di terra che si avviava, con la Francia, al dominio dell’Europa tramite l’Ue, mentre intesseva le sue relazioni economiche con la Cina. 



L’Europa, tuttavia, doveva “rimanere fuori” da questa sistemazione del mondo. Il pericolo di un nuovo gollismo era troppo forte. Per il Giappone e per l’India doveva essere la stessa cosa, ma per ragioni diverse: l’India doveva interrompere il suo legame con l’Urss prima e la Russia poi e divenire competitiva anche militarmente con la Cina, mentre il Giappone doveva via via riacquistare un ruolo di gendarme anti-cinese grazie all’abbandono della teoria di Shigeru Yoshida, il grande dirigente del Partito liberaldemocratico, per il quale si dovevano concentrare gli sforzi del Giappone nel potere economico e lasciare gli affari militari nelle mani degli Usa. Era la lotta per il dominio internazionale solo con l’economia e non con le armi e la minaccia dell’uso delle stesse (in sintonia con la teoria e la pratica tedesca sino a oggi). 

Con l’emersione della potenza imperialistica cinese sotto la guida di Xi Jinping abbiamo assistito al lento ma inesorabile affermarsi dell’attuale deterrenza anche militare giapponese, con la teoria “Kishida”, (seguace di Shinto Abe, già primo ministro giapponese fortemente nazionalista). Kishida è l’attuale premier giapponese che dichiara che porterà il Giappone alla soglia della deterrenza nucleare. 

Da qui non può che derivare il disegno europeo degli Usa: puntare sulle divisioni esistenti tra le nazioni aderenti all’Ue per determinare da oltre Atlantico il destino dell’Europa – in continuità con il passato – e non lasciarlo in mano agli Stati europei in continuo contrasto tra di loro e quindi portatori di instabilità continua. Le continue divisioni tra gli europei mettono in pericolo non solo la pace, ma la stessa sicurezza mondiale. 

Ne deriva la divisione che non deve esistere, nella dottrina della deterrenza Usa da tempo affermatasi: imporre sanzioni economiche in caso di squilibrio di potenza e intervenire militarmente, distruggendo gli alleati delle potenze regionali che possono incrinare il potere Usa. È stato il caso dell’Iraq in funzione anti-Kuwait, di Gheddafi in funzione anti-italiana, di Assad in Siria in funzione anti-francese e anti-russa, con il conflitto inestirpabile libanese che ne è seguito e che ha prostrato e indebolito la Francia più che i conflitti nel Sahel. 

Naturalmente il gioco di potenza ha scatenato la reazione russa e turca che hanno avvertito che questo minacciava la ridefinizione dell’equilibrio di potenza nel Grande Medio Oriente e nell’Europa centrale, aree imbricate quanto mai. L’allargamento dei confini della Nato e l’alleanza con i Fratelli musulmani furono – nei due campi di potenza – le strategie, o le “totalità” in senso à la Clausewitz, che si perseguirono e che – ahimè – si perseguono. Così si segnò la fine del “piano Obama” e la trasformazione delle Primavere arabe nella guerra infinita mesopotamica e l’emersione del neo imperialismo ottomano.

L’allargamento dei confini della Nato iniziò con un conflitto nella Nato stessa. Il perno era lo scontro ideologico: il pericolo vero era la Russia o il disordine nel Mediterraneo del Sud? Lo scontro si consumò nelle discussione sulle teorie di deterrenza tra le marine militari dei rispettivi Stati. Svezia, Norvegia, Finlandia e Stati baltici si fecero portatori, potenza della storia!, di una nuova teoria che individuava la Russia come nemico principale.

Il tutto spinse naturalmente la Russia a rivolgersi verso la Cina. Il vecchio unipolarismo risorse. Il multilateralismo retorico e le teorie dell’interventismo liberale nascondono, infatti, la volontà di potenza di decidere sempre da soli e di decidere sempre con la guerra che segue e insieme continua le sanzioni in altra forma. È per questo che gli Usa di fatto rifiutarono già negli anni Cinquanta del Novecento il disegno di De Gaulle di un direttorio strategico tra Washington, Londra e Parigi che avrebbe dovuto condurre le relazioni internazionali in un orizzonte globale, confidando nel ruolo di queste potenze. Al disegno gollista seguì com’è noto, ma mai ricordato, il Format Quint (un gruppo decisionale informale composto dagli Stati Uniti e da Francia, Germania, Italia e Regno Unito), che scaturì dal famoso “gruppo di contatto sulla Bosnia” alla fine degli anni Novanta del Novecento a causa delle guerre dei Balcani. 

Joe Biden aveva proposto alla Russia, all’inizio della conflittualità sull’Ucraina, di far parte di un nuovo Piano Quint. Sarebbe stata una sorta di cambiamento strategico radicale del percorso sin qui seguito perché avrebbe integrato Nato e Stati dominati dell’Ue in un contesto diplomatico e militare – di fatto anche militare – che avrebbe costretto la Russia a seguire la forza non più centrifuga, ma centripeta di considerare il destino europeo di nuovo un suo destino, abbandonando in tal modo le sirene cinesi. E sarebbe altresì la fine del conflitto ucraino, con di fatto il congelamento della situazione esistente e il ritorno al rispetto del Trattato di Minsk, che riconosceva l’autodeterminazione di fatto dei territori russofoni dell’Ucraina. Accordo dagli Usa e dall’Ue ora sempre dimenticato e dalla Russia sempre rivendicato.

La reazione dei Repubblicani negli Usa si è fatta sentire subito e Biden ha fatto un passo indietro, sotto la minaccia della sconfitta elettorale del midterm. Di qui l’incancrenirsi della questione. Essa si aggiunge alle faglie profonde che si sono aperte in tutto il modo della globalizzazione. Mai il mondo è stato così diviso e frammentato come durante il domino dei trattati internazionali, del venir meno del realismo nella teoria e nella pratica delle relazioni internazionali. Ecco le due crisi parallele di Taiwan e dell’Ucraina, il riarmo del Golfo, la guerra civile in Etiopia e nello Yemen, le tensioni prima inusitate nel Maghreb, per non parlare delle guerre etniche in Myanmar di cui nessuno parla (tranne che su queste pagine) ma che sono un pericolo per tutta la stabilità indo-pacifica e del continuo stato di tensione che la potenza nordcoreana crea continuamente, mentre la Cina è avviluppata in un nuovo conflitto interno tra le coorti del Pcc nella tragedia pandemica.

I venti dell’Ucraina altro non sono che un’ansa del vento potente di disgregazione che travolge il mondo. 

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