In misura sempre più inquietante, la tensione a livello globale si sta alzando, coinvolgendo scenari diversi nello stesso momento. La Corea del Nord negli ultimi giorni ha lanciato altri sei missili terra-aria verso il Mar Giallo. Seul ha risposto con tre missili in acque a nord della penisola. Uno dei missili nordcoreani ha di fatto superato il confine marittimo fra le due Coree. E’ una brusca escalation, se solo si tiene conto che da inizio anno Pyongyang ha lanciato più di 40 missili, uno dei quali ha superato il territorio giapponese.



Allo stesso tempo i servizi di intelligence dell’Arabia Saudita hanno lanciato l’allarme su un possibile e imminente attacco iraniano sul suo territorio o nella regione di Erbil, in Iraq, dove da tempo le milizie filo-iraniane colpiscono nelle vicinanze delle basi americane. “Bisogna guardare a tutti questi avvenimenti” ci ha detto il generale Giorgio Battistigià comandante del corpo d’armata di Reazione rapida della Nato in Italia e capo di stato maggiore della missione Isaf in Afghanistan, “in modo globale, partendo dalla guerra in Ucraina. Non è un caso che queste minacce provengano da paesi che sono dichiaratamente anti-americani e pro-russi, e potrebbe trattarsi di un disegno strategico per mettere in difficoltà le nazioni occidentali che sostengono Kiev, facendo intendere che c’è un fronte internazionale pronto a entrare sulla scena militare a favore di Mosca”.



E’ allarme per i continui lanci di missili da parte della Corea del Nord verso quella del Sud, mentre viene denunciato un possibile attacco iraniano contro l’Arabia Saudita e l’Iraq. Quanto queste minacce sono legate a paesi retti da regimi dittatoriali che devono distrarre la propria opinione pubblica dalle loro crisi interne? O invece c’è dietro un disegno strategico unitario?

Ritengo, come suggerisce lei nella seconda ipotesi, che sia necessario guardare a tutti questi eventi in un quadro unico, che va dall’Europa dell’Est al Medio Oriente fino alla Corea del Nord. Partiamo da Pyongyang: il regime nordcoreano ha dichiarato che l’esercitazione in corso fra Usa e Corea del Sud, per altro prevista da tempo, rappresenti una prova di invasione, per cui Kim si sente autorizzato ad agire preventivamente, dimostrando la propria capacità di intervento.



Non sarebbe la prima volta, anche se ultimamente Pyongyang si è attivata con una escalation di lanci davvero preoccupante. 

Infatti si registra una concentrazione di lanci di missili di varia tipologia, alcuni dei quali anche verso il Giappone, il che fa pensare, anche se si tratta di supposizioni, a interventi militari legati a quello che succede in Ucraina.

In che senso, esattamente? È una escalation in chiave anti-americana?

Si potrebbe definire un supporto indiretto alla Russia per fare in modo che tutti i paesi impegnati contro di lei si rendano conto che c’è una forma di minaccia mondiale.

Questo fa paura, specie se aggiungiamo le minacce iraniane, non crede?

Indubbiamente. Tutto ciò conferma anche che la diplomazia non viene più svolta a livello politico fra i rappresentanti dei governi o tramite le ambasciate. E’ in atto una sorta di diplomazia preventiva fatta con le armi per dimostrare di essere pronti a reagire e tutelare, secondo il proprio punto di vista, l’integrità territoriale. E in questo senso la diplomazia internazionale ha perso.

In realtà, se pensiamo alle Nazioni Unite, ha perso da tempo. È così?

Infatti non si è più in grado di risolvere alcun problema: ecco il grande fallimento delle Nazioni Unite. Basti pensare che l’unico accordo ottenuto da inizio guerra è quello sull’esportazione dei cereali, un accordo realizzato da Erdogan, un intervento unilaterale che ha scavalcato ogni realtà sovranazionale. Oggi i contrasti tra Stati si risolvono con le armi ed è un passo indietro di oltre cento anni: siamo tornati all’Europa del 900 o anche di due secoli fa.

In questo quadro si continua a parlare di minaccia nucleare russa. Lo ha ribadito Dmitri Medvedev, secondo cui, se si dovesse continuare ad attaccare i territori ucraini annessi, la Russia si sente autorizzata ad applicare la clausola 19 della sua politica di deterrenza nucleare, usando le armi nucleari. Quanto c’è di concreto in queste minacce?

Medvedev è quello che ogni tanto se ne esce con queste dichiarazioni. Solo pochi giorni fa Putin aveva escluso l’utilizzo delle armi nucleari. Sono dichiarazioni altalenanti, che cambiano di continuo. La domanda è: se le regioni del Donbass sono state annesse in modo unilaterale alla Federazione russa, che senso avrebbe lanciare armi nucleari, seppur convenzionali, su di loro? Si arrecherebbe solo un danno ai propri territori. Se le armi nucleari hanno una funzione militare, dovrebbero essere lanciate contro grandi concentrazioni di truppe, cosa che l’Ucraina non ha.

L’insistenza sull’opzione nuclare potrebbe essere il segno di una guerra interna al Cremlino tra falchi, che stanno prevalendo, e colombe?

Potrebbe essere, ma noi quello che succede dentro al Cremlino non lo sappiamo. Può invece essere che, tenendo conto della situazione del conflitto che non sta volgendo a favore di Mosca, viste le precipitose ritirate delle truppe russe quando vengono attaccate all’interno dei loro territori, come abbiamo visto ultimamente, la minaccia del ricorso a un’arma nucleare potrebbe servire per dimostrare che non intendono accettare questa situazione sul campo. Innalzare quindi il livello del conflitto con l’uso dell’arma nucleare tattica per conquistare una posizione più favorevole dal punto di vista militare.

Un quadro inquietante.

Quello che colpisce è che a livello mediatico si dà quasi per scontato che prima o poi l’arma nucleare verrà usata. Non è più questione di “se”, ma di “quando”. Questo è preoccupante, perché si rischia che l’opinione pubblica mondiale arrivi ad accettare questa eventualità.

(Paolo Vites)

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